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domenica 13 novembre 2022

Istanbul sanguina di nuovo

 

Il viale dell’Indipendenza, İstiklal Caddesi, è tornato a sanguinare. Cinquantanove corpi a terra, sei senza vita, gli altri feriti, più o meno gravemente. Stroncati da quello che ha tutta l’aria d’essere un attentato terroristico. “Odioso” come l’ha definito il presidente Erdoğan. Le immagini che le molte telecamere presenti nella strada della storica Pera, l’antica area della Costantinopoli medioevale dove nell’XI secolo s’insediarono i mercanti genovesi, mostrano una giovane in mimetica con uno zainetto sulle spalle che potrebbe essere una potenziale kamikaze. L’esplosione è sicuramente avvenuta in questo modo, poiché la strada è un’isola pedonale chiusa al traffico automobilistico, percorsa dal romantico tranway che da piazza Taksim scende verso Galata e il Bosforo. Il luogo è una delle attrazioni della metropoli, uno scenario d’architettura tardo-ottomana con edifici in stile neoclassico, neogotico e d’art nouveau. Uno splendore dedicato al passeggio di istanbulioti e turisti. Verso le 16:30 locali la strada era mediamente affollata quando chi era lontano dal luogo della deflagrazione ha visto un lampo e una conseguente fiammata. Fuggi, fuggi generale per chi era a distanza, orrore e disperazione per chi si trovava nelle vicinanze del boato e ne era sopravvissuto. La polizia ha immediatamente chiuso il percorso perché venissero prestati i soccorsi e ha avviato sopralluoghi a caccia d’indizi per le indagini.  Da tre anni la Turchia non registrava attentati, nel settembre 2019 fra i passeggeri di un bus che viaggiava nella provincia di Diyarbakir c’erano state sette vittime e dieci feriti per l’esplosione d’un ordigno Ied abbandonato per via. La provincia faceva pensare a un attentato dei gruppi armati kurdi che in quel caso non fu mai rivendicato. 

 

Istanbul è stata teatro di un’escalation di esplosioni che dall’estate 2015 fino a tutto il 2017 ha flagellato la Turchia. Due le matrici: quella dell’Isis e d’un gruppo armato che si firmava Falchi della Libertà (Tak). Proprio a İstiklal Caddesi, il 20 marzo 2016 un attentatore suicida produsse la morte di cinque persone e il ferimento di trentasei. Tutte le vittime erano cittadini stranieri: due statunitensi, due israeliani, un iraniano. Quell’attentato seguiva le due esplosioni che afflissero la capitale Ankara nel febbraio con 28 morti e marzo con 37. A giugno dello stesso anno un’altra mattanza all’aeroporto Atatürk sempre a Istanbul: 41 vittime e 239 feriti. Era il momento più nero per la sicurezza interna del Paese che a metà luglio visse il tentativo di golpe, poi fallito per la risposta popolare all’appello telefonico diffuso sui social di Erdoğan, che si trovava fuori città e rientrò a Istanbul dove si scontravano reparti di rivoltosi e militari lealisti. Fu il cosiddetto colpo di mano gülenista, del cui disegno venne accusato l’ex alleato e poi nemico giurato Fethullah Gülen, predicatore e politologo della provincia di Erzurum, trasferitosi da anni negli Stati Uniti. Da quel momento il governo dell’Akp  ha avviato una gigantesca epurazione che ha coinvolto Forze Armate, polizia, magistratura, pubblica amministrazione, istruzione e accademia con migliaia di arresti e decine di migliaia di licenziamenti e pensionamenti di aderenti al movimento gülenista Hizmet. Un’ulteriore stretta nei confronti dell’opposizione politica, della stampa e il seguente progetto del presidenzialismo che ha ampliato i poteri personali di Recep Tayyip Erdoğan. Ma gli attentati proseguirono, non solo nei territori kurdi - Gaziantep, Hakkari - nuovamente a Istanbul con 38 morti prima presso lo stadio di Basiktas a dicembre 2016, quindi con 39 vittime nell’esplosione in un club privato dove si festeggiava l’avvìo del 2017. Quindi gli scampoli della lunga striscia stragista: due vittime a Izmir nel 2017, mentre nel 2019 crepavano per una bomba tre persone in una cittadina del sud sul confine siriano e le sette citate per lo Ied a Diyarbakir.

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