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martedì 11 ottobre 2022

New Cairo fra sperperi e paura

 

Cammina, ma non corre il megaprogetto con cui da anni Sisi abbaglia i suoi sostenitori, ormai prevalentemente militari e famigli, nemmeno più coloro che mangiano,  sarebbe meglio dire mangiavano, grazie alla filiera economica gestita dalle Forze Armate, messa in difficoltà dalle sue spese pazze. La New Cairo, capitale galattica nel deserto, è un’idrovora che prosciuga fondi, forse serviranno più dei 60 miliardi di dollari previsti per la creazione. Il tempo va e diversi lavori strutturali restano arretrati, comprese le autostrade a otto corsie, neanche si trattasse d’una New Los Angeles. Gli amici americani, con più d’un presidente, si sono tenuti alla larga dalle smargiassate del presidente-golpista. Magari lo lusingano, perché da un decennio è funzionale alla restaurazione del grande Paese arabo, rimesso in riga dai furori di Tahrir. Però, nessun finanziamento diretto ai sogni faraonici del generale viene da Washington. Altri aiuti sì, con gli onnipresenti armamenti e tre tranche elargite dal Fondo Monetario Internazionale per un totale di 20 miliardi di dollari, oggettivamente scialati per servizi che non servono alla popolazione, ammassata nelle periferie delle megalopoli di cui Cairo è la quintessenza. Alla storiella che la nuova Cairo, smaltirà caos e sovrappopolazione della vecchia capitale, intesa non solo come el-Khalili o Muqattam, ma la stessa area di Heliopolis e i suburbi di Giza e Nasr, non crede nessuno. “Città d’élite, per affaristi e ricconi” commentano gli edili che ci lavorano, sottopagati, da ditte saudite e pure cinesi. 

Intanto i cairoti che restano, e resteranno al Cairo, hanno conosciuto l’aumento del prezzo del pane, non solo per la speculazione delle multinazionali dei cereali, bensì per la cancellazione governativa del sostegno sociale a quello e ad altri generi alimentari di prima necessità. Di fatto la coperta finanziaria è corta, ma continua a essere tirata sulla località del sud-est, per drogare un sogno che materializza i 1.293 piedi dell’Iconic Tower, l’edificio più elevato d’Africa, circondato da tranvie e viali verdeggianti in uno spazio di decine di chilometri quadrati. Tutto ciò nonostante il Nilo scarseggi d’acqua, tutto ciò per far lievitare il debito nazionale e quadruplicarlo. Già la precedente mega opera presentata come “rinascita del Paese” - il raddoppio del Canale di Suez - non ha prodotto i guadagni preventivati: sono entrati 6.3 miliardi di dollari rispetto ai 13 miliardi attesi. Un flop che sancisce le inadeguatezze manageriali dello staff voluto da Sisi. Ma l’egiziano medio può solo bofonchiare, sottovoce, prestando attenzione a non farsi sentire dai mukhabarat, facilmente identificabili, e dalla più infida giungla di spioni di strada pronti a vendere pure amici e parenti per denaro o favori. La cittadinanza non si ribella, non può farlo, rischia galera e persecuzioni ad libitum. Subisce. Sebbene nell’ultima campagna elettorale Sisi promettesse milioni di posti di lavoro che sarebbero scaturiti proprio dal progetto New Cairo, nessuno s’aspetta più nulla. Lui stesso, che con ritocchi normativi s’è garantito un potere fino al 2030 anche prolungabile, non ha bisogno di esaltare il suo regno con una propaganda ammaliatrice: ordina e riscuote obbedienza. E’ l’ossequio del terrore.       

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