Una moschea. E che moschea, un luogo da sogno. Shah Cerāgh, ovverosia ‘Imperatore della luce’. E’ qui che all’interno del luogo sacro, mercoledì sera un terzetto ha aperto il fuoco stendendo una cinquantina di fedeli. Quindici sono morti, gli altri riscontrano ferite più o meno gravi. Il luogo è leggendario e travagliato sin dalla creazione, perché due figli (Ahmad e Muhammad) di un imam sciita (Musa al-Kāẓim) vi trovarono rifugio dalla persecuzione della dinastia sunnita Abbaside contro l’altra fede islamica. La loro tomba venne scoperta casualmente in un cimitero, per via della luce che emanava all’esterno un cadavere, ovviamente inumato, ricoperto da un’armatura. Dall’anello che portava si scoprì che si trattava di Ahmad, figlio di Musa e fratello dell’imam Reza, l’ottavo imam sciita. Da allora (X secolo) diventò meta di pellegrinaggio di fedeli, nel 1130 furono edificati una camera di sepoltura, una cupola, un colonnato. Duecento anni dopo il luogo sacro fu ampliato, ma è nel 1506 che la ristrutturazione gli conferì imponenza. Fu riadattato dopo due distruzioni causate da terremoti nei secoli XVI e XIX. Tutto ciò avveniva a Shiraz, la città dell’amatissimo mistico e poeta Hafez, personaggio la cui fama ha attraversato i secoli grazie alla lirica sull’amore, anche erotico, ripresa dai suoi ghazal. Così la città più aperta e tollerante dello sciismo s’è ritrovata insanguinata da un attentato che sa di Afghanistan, come se la moschea con la cupola che brilla sotto gli specchi fosse a Dasht-e Barchi, il quartiere di Kabul diventato un obitorio di hazara. Eppure è accaduto. Il commando ha fatto scempio del tempio lasciando sui pregiati pavimenti marmorei martiri, e il grido di dolore del ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian appare comunque impotente nella sua dolente potenza. “Non permetteremo che la sicurezza nazionale e gli interessi dell'Iran siano ingannati da terroristi e intrusi stranieri che pretendono di difendere i diritti umani" ha dichiarato nelle ore successive, unendo il gesto terroristico, rivendicato dall’Isis, con le proteste che da oltre un mese riscontrano anch’esse una scia di sangue.
C’è relazione fra queste morti? E se anche questo sangue fosse casalingo, prodotto cioè da iraniani che uccidono altri iraniani, si può escludere o meno una regìa esterna della multinazionale del terrore che da anni usa l’acronimo del Daesh e che cinque anni or sono già ha colpito la Repubblica Islamica con gli attentati al Parlamento e alla tomba di Khomeini? Per quel che s’è visto negli ultimi anni, con gli assassini degli scienziati impegnati sul fronte del nucleare e con la recente esecuzione del colonnello Pasdaran Sayad Khodaei, chi riesce a compiere azioni mortali mirate in terra iraniana, è il Mossad israeliano. Che se ne compiace. Più realisticamente nel grande Paese sciita che supera gli ottanta milioni di abitanti, con province tumultuose dove vivono cospicue minoranze etniche e religiose (i kurdi del nord-ovest, i sunniti del Beluchistan) le questioni, le rivendicazioni, gli interessi possono intersecarsi pur senza intrecciarsi. Chi come il presidente Raisi oppure il ministro dell’Interno Vahidi deve offrire risposte interne e internazionali sulla sicurezza e la tenuta politica della nazione, in una fase di difficoltà esponenziale fra diritti violati e repressione, economia soffocata, inflazione che stritola le certezze di tre quarti della popolazione, cerca rifugio mostrando un quadro fosco - che fosco è davvero - dove ogni vicenda è una concausa di altre. Ma gli stessi vertici statali non ne hanno certezza. Per ora si sa che uno degli attentatori, bloccato e arrestato, non è di nazionalità iraniana. Per il resto le fonti ufficiali, già avare d’informazioni, riparano nelle dichiarazioni di prammatica del chierico di governo: “I nemici dell'Iran, dopo aver fallito nel creare una divisione nelle fila unite della nazione, si vendicano attraverso la violenza e il terrore. Le risposte non mancheranno, la sicurezza e le forze dell'ordine daranno una lezione a coloro che hanno progettato l'attacco". Il resto è attesa. Per la cronaca: nell’aprile scorso, durante il Ramadan, un uzbeko aveva compiuto un attentato in un altro santuario: l’Imam Reza di Mashhad.
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