“Non c’è pace senza giustizia” sostenevano la rete radicale e trecento
Ong che peroravano l’intervento delle Nazioni Unite per creare tribunali che esaminassero
i sanguinosi conflitti in Ruanda e nell’ex Jugoslavia, punendo i responsabili. Sappiamo
com’è andata. Il Tribunale per il Ruanda, sorto nel 1994, ha condannato
all’ergastolo sia Jean-Paul Akayesu, sindaco di Taba, per massacri e stupri
subìti dall’etnìa Tutsi, sia Jean Kambanda, direttore delle Banche del Ruanda
per partecipazione a genocidio e massacro. Seguì una sfilza d’ulteriori imputati
e ricercati. La Corte per l’ex Jugoslavia, istituita nel 1993, ha chiuso il processo
di primo grado nel 2008, quello di secondo due anni dopo. Fra gli accusati più
noti il presidente serbo Milošević morì d’infarto mentre era detenuto, al capo
dei serbo-bosniaci Karadžić e al comandante dell’esercito serbo-bosniaco Mladić
vennero inflitti due ergastoli. Quegli
organismi sono divenuti i pilastri della Corte Penale Internazionale istituita
nel 2002 con sede all’Aja, cui si fa riferimento per indagini e punizioni per
reati di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. A supportarlo
lo Statuto di Roma stipulato nel 1998, sottoscritto nel 2017 da 123 Paesi, più
32 firmatari senza ratifica ufficiale. Fra questi Stati Uniti, Russia e Cina,
tre potenze globali. Condannare Putin può essere cosa buona e giusta non solo
per le bombe e la morte seminata in tre settimane sul territorio ucraino, ma
per l’ondata mortifera lanciata in epoche precedenti in vari luoghi: Cecenia,
Georgia, Siria, Libia.
In realtà la prima
guerra cecena l’aveva
avviata il precedente presidente russo Eltsin, biennio 1994-95,
trentacinquemila vittime civili di cui cinquemila minori. Terminò con un
accordo coi separatisti visto che l’esercito di Mosca, nonostante assedi e
massacri a Groznyj e dintorni, non riusciva a piegare i ribelli. Ci fu un altro
round. La seconda guerra cecena, avviata a fine anni Novanta e trascinatasi
sino al 2009, con bombardamenti a tappeto russi su centri abitati e villaggi,
uno stillicidio di vittime civili. Qui il neo presidente Putin mostrò il duro
volto dell’agente del Kgb lanciato in politica. Ma nella conta della morte, fra
i 25.000 e i 50.000 civili, gli teneva bordone il capo dei ribelli Basaev,
alias Abu Idrīs al-Bassī, figlio di ex combattenti locali, che alla guerriglia
sul campo aggiunse odiose azioni terroristiche: al teatro Dubrokova di Mosca
nel 2002, alla scuola Beslan nel 2004. Nel primo caso Putin decise
intervenissero gli Specnaz che, dopo
aver irrorato l’interno dell’edificio con un agente chimico, irruppero nella
sale dove il commando ceceno teneva in ostaggio gli spettatori. Non fu sparato
un colpo, erano tutti stecchiti: 129 persone e 39 miliziani. La conta nel
secondo intervento speciale fu peggiore: 334 vittime di cui 186 bambini. Guerre
sporchissime, raccontate dalla giornalista Politkovskaja finita a colpi di
pistola nell’atrio del suo appartamento moscovita. Ma per i conflitti citati,
non solo per la mattanza di cronisti e oppositori avvenuta in Russia, la
Comunità internazionale non andò oltre generiche condanne. Clinton dichiarava
che agli Stati Uniti non interessava sanzionare la Russia, mal celando la
cattiva coscienza in merito a omissioni e interventi univoci nella guerra balcanica
di metà anni Novanta.
L’invasione russa della
Georgia
dell’agosto 2008, considerata la prima guerra de Terzo Millennio nell’area
euro-asiatica, pur mostrando intenti aggressivi del Cremlino ha avuto
conseguenze sanguinarie limitate, circa 400 morti su entrambi i fronti fra cui
come sempre anche civili. Ben peggiore l’intervento in Siria in sostegno del
regime di Asad che combatteva contro lo Stato Islamico. I 400.000 civili
assassinati che s’uniscono ai 59.000 lealisti siriani, 1.300 miliziani Hezbollah,
52.000 ribelli e jihadisti, 11.000 combattenti kurdi in un conflitto palese e
strisciante durato otto anni e tutt’ora con fronti aperti, potrebbero far dire
ai sostenitori dei diritti che Putin e i suoi ufficiali, Bashar al-Asad, suo
fratello Maher, i generali siriani Allah Ayyub, al-Furayi, al-Hassan, Shahadah,
il leader libanese Nasrallah, gli ufficiali ribelli al-Bachir, al-Shaykh, Salim
Idris, il politico al-Khatib, e il presidente turco Erdoğan, il suo generale Metin
Temel che ha coordinato l’Operazione Scudo
dell’Eufrate, rientrano a pieno nella mattanza che s’è tirata dietro un
pazzesco numero di morti fra i civili. Non si possono più portare alla sbarra
dell’Aja al-Baghdadi, al-Shishani, al-Qurayshi leader e combattenti dell’Isis –
chi iracheno, chi georgiano – caduti nel corso del conflitto, mentre l’accusa
può coinvolgere il capo di Tahrir al-Sham,
Muhammad al-Jawlani, col piccolo particolare che occorrerebbe catturarlo. Comunque
la tendenza a puntare il dito su sterminatori jihadisti che non sono esenti da
crimini e celare i propri è una deriva propria del nostro sistema. Cosa dire
del ventennio d’occupazione in Afghanistan con le ‘missioni di pace’ Enduring Freedom, Isaf, Resolute Support ? Per questo conflitto che ha
causato 300.000 vittime civili il Tribunale dell’Aja dovrebbe perseguire il
presidente americano George W. Bush, i successori Obama e Trump, con una
chiamata di correo per gli alleati occidentali, fra cui spiccano i primi
ministri italiani Berlusconi, Prodi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte.
I generali statunitensi Petraeus, McChristal, Ray
Franks punta di lancia di bombardamenti a tappeto su ampie aree abitate dopo la
stessa ritirata talebana da Kabul nel novembre 2001, sapevano dove gli F/A Hornet lanciavano bombe a grappolo
ben oltre la battaglia di Tora Bora. Il premier inglese Blair e il suo generale
McColl potrebbero rispondere dell’offensiva nell’Helmand nel 2007 condotta dai Royal Marines non solo contro i turbanti
islamici ma sui civili di decine di villaggi colpevoli solo di vivere in quella regione. Sempre in quell’area due
anni dopo è calata l’operazione Colpo di
Spada, il maggiore intervento aviotrasportato dai tempi del Vietnam. Sono
seguiti per settimane le ‘Extraordinary rendition’ dei corpi speciali come Task Force 45 diretti dalla Cia, attivi
in incursioni, rastrellamenti, rapimenti di persone, naturalmente anche civili,
sospettati di aiutare la guerriglia. Detenzioni illegali e torture. Alle azioni
partecipavano anche militari italiani nelle province di Herat, Farah, Ghowr che
contarono un caduto. Forse di più può dire il nostro generale Del Vecchio
impegnato sul terreno fino al 2006, nel 2007 al vertice del Comando Interforze
e dal 2008 diventato parlamentare della Repubblica col Partito Democratico. In
un’inchiesta e processo si possono
tralasciare i presidenti-fantoccio Karzai e Ghani, il ministro di Difesa e
Interni Bismillah Mohammadi? Sul fronte opposto non può più rispondere il
mullah Omar, passato a miglior vita nel 2013, e con lui altri capi talebani
(Mansour, Akhund stroncati rispettivamente da un drone statunitense e da un
attacco cardiaco), né Osama Bin Laden disintegrato da un commando della Cia ad
Abbottabad. Vivo è invece l’attuale leader di Qaeda Ayman al-Ẓawāhirī su cui
pende la taglia di 25 milioni di dollari. Ovviamente andrebbe catturato, le Intelligence
occidentali non si sbilanciano sul nascondiglio o semplicemente non lo cercano.
Mentre si sa bene dov’è il fondamentalista Gulbuddin Hekmatyar, leader di
Hezbī-e Islami attivo fra Kabul e i territori pachistani. Dov’è l’ex vicepresidente
e signore della guerra Dostum, e ancor più Sirajuddin Haqqani oggi ministro
dell’Interno dell’Emirato Islamico afghano, di recente fotografato mentre passava
in rassegna reparti talebani ripuliti e addobbati con uniformi perfette.
I cacciatori di
criminali di guerra
non dovrebbero aver dimenticato chi ha organizzato la seconda guerra irachena,
i pazzeschi bombardamenti fra marzo e maggio 2003 e l’occupazione militare durata
fino al 2011. Un elenco mortuario che fra la gente comune oscilla fra le
settecentocinquantamila e il milione e duecentomila morti. Voluti da Stati
Uniti e Regno Unito con aggiunta di Polonia e Australia. Le responsabilità
ricadono nuovamente su George W. Bush e Barack
Obama, i generali-politici alla Rumsfeld, i generali-generali Casey jr e
Petraeus, i premier Tony Blair, Gordon Brown, David Camerun che hanno portato
in Iraq fino a 300.000 soldati e quasi 200.000 contractors. Il fronte opposto è
quasi tutta una croce, nel senso che sono scomparsi da tempo: Saddam Hussein, condannato a morte da un tribunale
iracheno e impiccato per stragi antiche, quella verso 148 sciiti nel 1982. Ali
Hassan, noto come ‘Ali il chimico’ ministro dell’Interno e della Difesa,
Al-Trikriti capo dei Mukhabarat iracheni,
al-Zarkawi uno dei fondatori dello Stato Islamico, Abu al-Masrī. Mentre
quest’ultimi non sono più in condizione di comparire davanti a nessun tribunale,
gli altri sì. Invece non s’è fatto nulla. Perché Washington, pronta a
denunciare le atrocità altrui, glissa sulle proprie e guarda alla Corte
dell’Aja con un doppio standard. Così è successo quando una delegazione
palestinese ha proposto l’adesione al trattato istitutivo della Corte. Il
Segretario di Stato Bolton è andato su tutte le furie minacciando sanzioni alla
già pesantemente sanzionata popolazione araba, sanzionata dalla Storia
successiva alla nascita dello Stato d’Israele che la perseguita dal 1948. Ennesima
sfuriata americana contro la giurista gambiana Fatou Bensouda che, diventata Procuratore
capo del Tribunale Internazionale, ha chiesto di aprire un’indagine sui crimini
di guerra commessi in Afghanistan da tutte le componenti in conflitto. L’amministrazione
Trump, per mano del Segretario di Stato ed ex guida della Cia Mike Pompeo, ha
imposto alla Bensouda un divieto di viaggio nei luoghi d’indagine. In più la
Casa Bianca ha espressamente vietato ai cittadini statunitensi di fornire
consulenze alla Corte medesima. E’ l’altra faccia del mondo libero, su cui il
popolo ucraino può riflettere.