Ennesimo giornalista ucciso nell’Uttar Pradesh.
Solito copione: un colpo d’arma da fuoco in testa alla maniera mafiosa. In
questo caso il trentacinquenne Vikram Joshi, che rientrava in casa sulla sua
moto, è stato fermato da un manipolo di persone che l’ha brevemente malmenato,
quindi finito con una revolverata. S’indaga se si possa trattare di violenza
diretta genericamente sulla categoria, che nel popoloso Stato settentrionale
indiano ha fatto molte vittime, o se il reporter fosse nel mirino per motivi
diretti al suo lavoro. Alcuni colleghi hanno sottolineato che nei giorni
precedenti aveva trattato un caso di cronaca nel quale erano coinvolti uomini
accusati di molestie. Diversi giornalisti hanno inscenato proteste per la
totale impunità di azioni criminali che si ripetono senza alcun intervento
dell’amministrazione politica. Questa è già al centro di svariate polemiche per
la conduzione faziosa operata da Yogi Adityanath, un estremista hindu vicino al
premier Modi che dal 2017 guida quello Stato. L’uomo è un monaco e capo
sacerdote del tempio di Gorakhpur, già ventiseienne era nel Parlamento ed ha
avuto un rapporto di amore-odio col Bharatiya Janata Party. In più di
un’occasione ha cercato d’imporre, specie nell’area orientale dell’Uttar
Pradesh controllata dalla sua corrente, candidati diversi da quelli scelti
centralmente. Fra attacchi ai candidati ufficiali e conseguenti compromessi la
tattica ha avuto buon gioco, tanto da consentirgli di acquisire spazi e poteri
sempre maggiori. E’ un dei più pervicaci sostenitore dell’hindutva, l’ideologia razzista e reazionaria che fomenta le
violenze razziali nel Paese.
Dall’assunzione dell’incarico di primo ministro nell’Uttar
Pradesh Adityanath ha imposto un’infinità di divieti e accentrato alla sua
persona più di trenta cariche di vari dipartimenti. La conseguenza di simili
imposizioni è un clima autoritario senza autorità e una crescente deriva
violenta che fa dire a numerosi osservatori come la regione sia ridotta a una
sorta di luogo soffocato dalla ‘legge della giungla’. Oltre agli scontri fra
etnìe e attivisti confessional-politici musulmani e hindu, si sono registrati
diversi omicidi nei confronti di chi descrive il degrado presente in una vasta
area. Proprio di recente il corrispondente d’un quotidiano di tendenze hindu ha
subìto il medesimo trattamento: freddato con un colpo in testa. Fra le
questioni trattate negli ultimi tempi dai cronisti c’è il traffico illegale di
sabbia escavata dai fiumi, un affare condotto da alcuni clan che incrementano,
grazie ad amministratori compiacenti, l’edificazione irregolare in vaste aree
del Paese. L’associazione Reporters Sans
Frontières la lanciato un appello al governo indiano per investigare sui
crimini che hanno l’obiettivo di tacitare la stampa e seminare terrore fra la
popolazione per tenerne congelate prese di posizione. Molti omicidi e
intimidazioni hanno chiare motivazioni politiche, poiché i cronisti assassinati
svolgevano inchieste su affari illegali che uniscono politici locali e
nazionali. Attualmente l’India ricopre la 142° posizione, su 180 nazioni
monitorate da organismi internazionali, riguardo alla libertà di stampa,
diventata in quei paralleli direttamente una difficoltà di vita.