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lunedì 20 luglio 2020

Hindu afghani, passaggio a sud-est


In tempi di chiusure, limitazioni, viaggi bloccati da prime, seconde e terze ondate di Coronavirus c’è chi riceve permessi di transito e trasferimento. La minoranza etnico-religiosa degli hindu afghani in questi giorni ha avuto dal governo di Delhi il consenso per entrare in India. Se lo vorrà. In Afghanistan tale minoranza, come accade ad altre ben più numerose quali gli hazara, è oggetto di ripetuti attentati, taluni particolarmente sanguinosi. Nello scorso marzo, in avvio di pandemia nel Paese dell’Hindu Kush, si verificò un agguato nel luogo più sacro della comunità: il loro tempio presente nell’antica Kabul. La vita fu strappata a venticinque persone, fra cui alcuni bambini. In quell’occasione a perseguitare gli hindu afghani erano i miliziani dello Stato Islamico del Khorasan, in altre gli attentati sono avvenuti per mano del fondamentalismo talebano. Ma la Shura di Quetta, che ha condotto i colloqui di pace a Doha, in questo periodo ha evitato simili spargimenti di sangue. Ha continuato ad attaccare solo l’esercito di Ghani. Ora la comunità hindu afghana deve decidere se restare nella nazione dove risiede da tempo, che incute terrore ma che le offre strumenti di sopravvivenza pur precari. Oppure riparare nel ventre indiano, accogliente sul fronte della sicurezza immediata però deficitario da un punto di vista occupazionale, economico e di sostegno a medio termine. Anche per la crescente problematicità creata dalla pandemia che pone tuttora lo Stato-continente in una condizione di tremenda difficoltà per centinaia di milioni di cittadini poveri.
L’India è tuttora in lockdown, i numeri degli infettati sono assolutamente approssimativi, riguardano solo una fetta di operatori pubblici con un’occupazione stabile, i lavoratori privati, il micro commercio, e precari, ambulanti, disoccupati, questuanti sono incontrollati e incontrollabili. Si tratta di centinaia di milioni d’individui. Fattore che incute ampio timore agli strati benestanti della nazione che come dimostrano le infezioni contratte anche da alcune stelle di Bollywood, in qualche caso con tanto di decesso com’è accaduto al quarantaduenne compositore di musiche da film Wajid Khan, ha messo il governo Modi nella posizione di prolungare la chiusura del Paese. Ovviamente questa situazione deve fare i conti con tutte le criticità rappresentate dal sovraffollamento e dall’impossibilità oggettiva del distanziamento sociale fuori e dentro abitazioni e tuguri, dove purtroppo tanta gente vive tuttora. Le famiglie hindu afghane non sono numerose, già negli anni passati, proprio a seguito delle persecuzioni, chi ha potuto è volato in India, in Europa e in America. Così da tremila nuclei familiari ora se ne contano circa cinquecento, principalmente nelle province orientali di Nangarhar e Paktia. L’amministrazione di Kabul, che pure non condiziona l’attività lavorativa dei locali hindu e sikh, non ne tutela l’incolumità personale. Dopo l’attentato di marzo a mala pena viene presidiato con un tank il tempio, fattore peraltro che non tutela un possibile ripetersi di azioni terroristiche. Mangiare rischiando la pelle o partire e soffrire la fame è il dilemma di questa minoranza travagliata, in una fase in cui il mondo si restringe e l’esistenza resta sospesa.

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