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sabato 11 luglio 2020

Turchia, l’alleanza di governo spacca il fronte degli avvocati


La difesa non si zittisce, non ci dividiamo” dicono gli avvocati, ma il governo rema contro e ha già pronta l’ennesimo veleno per la libera espressione, anche nelle aule giudiziarie. Da due settimane le toghe turche hanno dato vita a sit-in davanti al Parlamento, inscenato proteste presso il Palazzo di Giustizia, tutto senza successo. Il Meclis sta esaminando la proposta di legge sulla riorganizzazione dell’avvocatura presentata dagli alleati di governo: il partito islamista Akp e il partito nazionalista Mhp. Il fulcro della proposta sta nell’introdurre la possibilità di creare molteplici Ordini concorrenti in ogni dipartimento che conti più di cinquemila avvocati (Istanbul ne ha 48.000, Ankara 18.000, Izmir 10.000) col presupposto che ciascuna nuova avvocatura riunisca almeno duemila iscritti. Il passo è stato motivato dallo stesso presidente Erdoğan col fine di offrire strutture di togati “più democratiche, più pluraliste e altamente rappresentative”.  Ma dalle file dell’Akp c’è chi non nasconde lo scopo reale del progetto: stroncare contrapposizioni ideologiche e politiche nei processi. I presunti slanci di democratizzazione pluralista della categoria fanno dire alla Presidente della maggior sede dei giuristi di Turchia che l’amore per la democrazia dovrebbe spingere la classe legislativa ad abbassare la soglia di sbarramento per la rappresentanza parlamentare, posta al 10%, fattore che da due decenni favorisce ampiamente il partito di maggioranza che ottiene il 67% dei seggi col 34% dei voti. La signora Kurtulmaz Oztürk rincara: “I Fori sono fra le istituzioni più democratiche del Paese e la politica sceglie di ‘riformarli’ per renderli, a suo dire, più democratici?”. Facendo intendere l’aspetto subdolo dell’operazione.
In occasione della protesta dei colleghi contro l’iniziativa della maggioranza parlamentare lei ricordava che nell’ultimo decennio il contropotere turco – giornalisti, intellettuali, accademici – sia stato sottoposto a censura e silenziato con persecuzioni e arresti. Nonostante gli asfissianti controlli, i divieti, le carcerazioni gli avvocati rappresentano ancora una componente che può minimamente garantire a chi è additato con le accuse più ingombranti (terrorismo, attacco alla sicurezza nazionale) di ricevere assistenza e sostegno davanti alle Corti. Dividere questo fronte significa per il potere crearsi alleati compiacenti o incentivare la presenza di elementi innocui, disinteressati alla difesa degli assistiti, una sorta di difensori d’ufficio tutt’altro che combattivi in sede di dibattimento. La Oztürk afferma: “Dobbiamo difendere i nostri Fori come baluardi democratici e indipendenti”. Fra le lamentazioni del settore ci sono anche quelle professionali di chi accusa il nuovo assetto di creare una componente di avvocati vicini a certi giudici prossimi alla sfera  politica, a discapito di capacità e bravura. Cosicché i clienti potranno rivolgersi a soggetti che intrallazzano col potere per veder risolte le proprie beghe. Fra le implicazioni della riforma c’è anche l’introduzione d’un controllo politico dell’organo di disciplina professionale. La Turchia ha già conosciuto “riforme” favorevoli alla sfera legislativa: nel 2010 venne aumentato il numero dei giudici costituzionali, così da permettere la nomina di elementi vicini al partito di governo. Nel 2018 fu abrogato il diritto dei magistrati di eleggere i loro pari in seno al Consiglio della Magistratura, compito assunto dal presidente della Repubblica. Con quest’ultima stretta sull’avvocatura, il cerchio di controllo si chiude.

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