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giovedì 23 aprile 2020

India, tutti contro il Coronajihad


Coronajihad la chiama la stampa più servile al regime, ma anche quella comunque non ostile al premier Narendra Modi. L’immensa nazione che sembra più affamata che malata di Sars CoV2 (è di ieri la foto d’apertura del New York Times con due giovani disperati e affamati appesi a un piatto di lenticchie) sta rinfocolando odio attorno al pericoloso quanto sconsiderato comportamento della missione islamica Tablighi Jamaat. Come già riferito (cfr. India, torna l’intolleranza sull’onda dell’epidemia) il loro incontro tenutosi dal 13 al 15 marzo nella sede della congregazione in pieno centro di New Delhi, un raduno con ottomila fedeli sparsi per i sei piani dell’edificio, nei vicoli attigui, nelle vicine moschea e madrasa, ha sicuramente contribuito a un incremento di casi virali. In più, dopo il divieto assoluto decretato dal governo di vicinanza per più di cinquanta persone, il 30 marzo nuovamente nell’area di Nizamuddin, quasi duemila adepti della comunità si sono riuniti, incuranti del pericolo per sé e la restante popolazione d’ogni angolo del Paese che avrebbero successivamente sfiorato, più o meno muniti di mascherina, visto che una parte di loro è rientrata nelle aree di provenienza. Contro lo sciagurato comportamento si sono pronunciati gli stessi rappresentanti di altre comunità musulmane dell’India, ma intanto le frange più oltranziste del governativo Bharatiya Janata Party ampliavano un tam tam carico d’odio verso gli islamici in generale, foriero di possibili futuri pogrom. I primi episodi di pestaggi rivolti a giovani musulmani, che distribuivano cibo a soggetti poveri, si sono registrati nei primi giorni d’aprile, e sul disgraziato incidente dei membri di Tablighi Jamaat il fondamentalismo hindu prepara nuovi sanguinosi assalti.
Ma accanto al radicalismo di piazza, continua a preoccupare l’escalation dell’apartheid voluto dall’attuale esecutivo e già introdotto nei settori dell’istruzione e della cultura. La situazione pandemica crea una coda anche nel sistema sanitario. In certi Stati - notizie giungono dal Gujarat, da dove Modi iniziò la scalata al potere - negli ospedali vengono predisposte sale distinte per possibili infettati. Non solo una divisione fra reparti maschili e femminili, bensì ampie zone per la maggioranza hindu e altri settori per i musulmani. Un separatismo in piena regola, ma non per prevenzione da virus. Secondo la discriminazione inseguita con meticolosa programmazione dall’hindutva - l’ideologia diffusa dalla fanatica corrente dell’hinduismo presente dai primi del Novecento e rinfocolata dal Rashtriya Swayamsevak Sangh e dallo stesso Bjp - i musulmani stessi rappresentano il virus. Un’accusa che s’aggiunge ai già noti malesseri indiani: povertà, malattie, disoccupazione, terrorismo tutti ricondotti all’Islam. Insomma la Umma è portatrice d’una sorta di stragismo virale. Certo, la confraternita Tablighi Jamaat l’ha fatta grossa. Buona parte degli infetti della zona di Delhi sono connessi al suo raduno, sebbene nella capitale la mortalità sia bassa (48 decessi) e il maggior numero delle 681 vittime contate nel Paese è concentrata nel Maharashtra (269). Finora i contagiati a livello nazionale risulterebbero 21.700. Il picco è sempre atteso per metà maggio, mentre i fuochi interreligiosi possono ripartire in ogni istante. 

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