Benvenuto o meno, Erdoğan è sbarcato a Roma come il più potente
dei Presidenti, visti i tremilacinquecento poliziotti che blindano la città,
dall’area attorno piazza San Pietro al Quirinale, passando per palazzo Chigi,
dove incontra i rappresentanti della Città del Vaticano e dello Stato Italiano:
papa Francesco, il presidente Mattarella, il premier Gentiloni. Dei colloqui si
saprà poco nell’immediato, visto che il protocollo non ha previsto né
conferenze stampa né tantomeno presenze di giornalisti, tanto che alcune
associazioni di categoria come Articolo
21 hanno sollevato proteste, mentre la comunità kurda di Roma e circoli
dell’opposizione hanno organizzato un sit-in di protesta nei giardini di Castel
Sant’Angelo. Il presidente-sultano continua a tenere la scena internazionale e
mediatica: col pontefice parla della questione di Gerusalemme, tema sollevato dall’amministrazione Trump con la
proposta-choc di renderla capitale di Israele, e parlerà dei profughi siriani.
Quelli già sparsi in tanti Paesi, e da anni massicciamente in Turchia; quelli
che potrebbero ulteriormente crearsi a seguito dell’ulteriore frazionamento del
territorio, che subisce le mire turche con l’azione contro l’enclave di Afrin.
Qui i kurdi del Rojava hanno lanciato il loro grido di dolore,
per l’attacco alle postazioni con cui le proprie unità hanno tenuto testa ai
jihadisti dell’Isis e, dal 19 gennaio scorso, si vedono colpite dall’assalto
turco dai proclami sionisti
(l’operazione è chiamata “Ramoscello d’ulivo”). I contendenti offrono un soggetivo
quadro degli effetti, comunque deleteri, verso la popolazione civile e anche militante,
visto ciò che è stato riferito sul corpo violato della guerrigliera kurda Barin
Kobani. Esiste di fatto una sperequazione fra il migliaio di “neutralizzati”
propagandati da Ankara e le 140 vittime dichiarate da parte kurda. Comunque,
notizie soggettive a parte, non è solo sui numeri che si deve riflettere per
sottolineare come Erdoğan stia inglobando una frazione territoriale del Rojava per
estirparne i nuclei combattenti, mentre l’esercito turco afferma di compiere
un’operazione antiterroristica contro l’Isis (che in quell’area non c’è da
tempo) e il Pkk, inteso come militanti del Pyd considerati una loro costola. Tutto
ciò, però, non accade per caso. Sullo scacchiere siriano, dove il conflitto non
è affatto concluso, sono in atto affari privati del fronte pro Asad, con Mosca
che ha patteggiato con Ankara un via libera all’intervento anti kurdo. Alcuni
analisti sostengono come nel frazionamento occidentale della Siria, deciso,
passo dopo passo, negli incontri di Astana i russi siano interessati a
posizionarsi a Idlib.
Quanto la Santa Sede possa impedire tutto questo si pone a metà
strada fra il mistero e il miracolo. La geopolitica prosegue il suo corso,
mentre le altre Istituzioni visitate dall’autocrate turco, presidente e premier
italiani, dovrebbero assumere un ruolo diplomatico di mediazione nei confronti
di altri partener occidentali: dall’imprevedibile plenipotenziario
d’Oltreoceano, all’asse politico franco-tedesco. Ma l’opzione dell’ingresso in
Europa è da tempo fuori dall’agenda di Erdoğan, invece all’alleanza militare
Nato desta preoccupazione la sua cocciutaggine, la mania di grandezza e il
triplo giochismo con cui fa e disfa secondo personali opportunità delle
circostanze. Sulla delicatissima questione dei diritti violati, quelli della
minoranza kurda che, oltre alla repressione carceraria rivive l’eliminazione
fisica dei cittadini, delle opposizioni e della libertà d’espressione della
stampa, l’Unione Europea potrebbe sollevare proteste o più incisive pressioni economico-commerciali.
Ma sono proprio gli ingranaggi del business che bloccano iniziative del genere
- accade con molti autocrati - e accade ancor più con Erdoğan. Il nostro Paese,
ad esempio, è il terzo cliente della Turchia, impegnato con 20 miliardi di
dollari d’affari, difficilmente Gentiloni e Mattarella anteporranno i diritti
dei kurdi a quello dei capitali impegnati e in itinere. E pure i pensieri di
Francesco probabilmente poco potranno per Afrin e le sue genti.
Nessun commento:
Posta un commento