Sebbene il potere della propaganda caratterizzi sempre di
più la geopolitica, la realtà continua a essere la cartina al tornasole con cui
verificare non solo false notizie false, ma tendenze distorsive che possono
nascondere solo parzialmente ciò che fatti o la loro lettura oggettivamente
evidenziano. Ieri anche una testata mainstream come la Bbc ha evidenziato ciò che la ridda di attentati, talebani o
dell’Isis non importa, mostrano e dimostrano: la mancanza di controllo del
territorio da parte del governo afghano. Gli agguati a Kabul sono la
quintessenza di quanto si consuma negli ultimi diciotto mesi in quel Paese
tenuto sotto tutela dalle missioni Nato: un contrasto assillante al proseguimento
della vita, in una nazione che normale non è da decenni. Però dalla cosiddetta “lotta
al terrore”, voluta da George W. Bush con un’invasione che ha terrorizzato e
dissanguato la popolazione afghana più che i talebani, non solo non si è combattuto
il fondamentalismo, né si è normalizzato il Paese, ma sono cresciuti a
dismisura caos, precarietà, corruzione. Il fondamentalismo ha incrementato le
sue fila, innalzando il vessillo della resistenza contro l’occupazione
straniera e trovando seguito fra giovani stretti nella morsa di fare da
bersaglio o fuggire.
Eppure varie amministrazioni statunitensi (due mandati per Bush,
due per Obama) nella bellezza di ben sedici anni hanno continuato a riproporre il mantra del Paese rinnovato, del ceto politico
autoctono da promuovere e sostenere, del rilancio di uno Stato che prende le
direttive dall’Occidente, militare oltre che geopolitico. Il bluff è sotto gli
occhi di tutti e ormai anche la favola di una presenza talebana stabile, solo
in alcune province storicamente controllate da quella fazione (Kandahar a sud,
Nangarhar a est) e poi in ordine sparso qui e là, diventa risibile. Dati provenienti
dall’Unama, che studiano l’incidenza delle azioni armate talebane sui civili,
con tanto di ennesime triste lista di morti e feriti, già due anni or sono avevano
segnalato una presenza degli insorgenti sulla metà del territorio. L’indagine
della Bbc, che fra agosto e novembre
scorsi ha utilizzato 1200 fonti locali sia con contatti diretti tramite i
propri corrispondenti, sia per via telefonica, in circa quattrocento distretti
del Paese, offre un quadro che sbugiarda ulteriormente le fonti ufficiali del
governo Ghani e dell’attuale governo Trump. I talebani sono presenti su oltre
il 70% del territorio. Certo a macchia di leopardo, ma con un’invasività, una
sicurezza, un’efficacia, un’accoglienza (se per accettazione o per terrore da
parte della popolazione è da valutare) evidentissime.
Questo a fronte del fallimento di ogni piano militare, strategico, politico
messo in atto dalle suddette amministrazioni che le hanno provate tutte:
invasione e guerra, governi-fantoccio, incarichi istituzionali a Signori della
guerra fondamentalisti essi stessi, massima presenza di truppe proprie e
contractors (120.000 militari nel 2010), creazione dell’Afghan National
Security Army (350.000 uomini nel 2015, data del ritiro di gran parte dei
marines statunitensi), tavoli di trattativi coi talebani di ieri e di oggi. Niente
da fare, un insuccesso globale. Così tornando alla ricerca effettuata
dall’emittente britannica la metà degli afghani presenti nel Paese (15 milioni)
vive in zone dove la presenza talebana è costante. Oppure viaggia, da un’area
all’altra, appoggiandosi a parenti e conoscenti per permanenze limitate e di
fortuna, e spesso si tratta d’un circolo vizioso. Ma nord-sud-est-ovest in ogni
direzione ci si diriga, la mappa tracciata dall’inchiesta può avere coloriture
più o meno fitte, comunque mostra ben poche tracce di assenza di incursioni dei
turbanti. Sono salve province desertiche, montuose o giù di lì. Certo i dati
raccolti confermano un’esistenza talib solo nel 4% dei distretti afghani, però
è inquietante scoprirla nel restante 66% delle province esaminate, con una
percentuale varia ma crescente.
In quelle aree gli assalti a check point, caserme, obiettivi
militari e civili, sono variabili, possono essere sporadici o frequenti, isolati
o ripetuti, ma continui senza che nessun reparto attaccato vada a caccia dei
miliziani, nei luoghi dove si nascondono o dove stazionano alla luce del sole. I
medesimi spazi, corrispondenti a 122 distretti (il 30% del territorio esaminato
dalla ricerca) liberi da talebani, non sono certo pacificati e tranquilli.
Anzi. Come la capitale Kabul, che è calcolata in questa fascia, gli attentati
sono all’ordine del giorno e parte della cittadinanza dà vita al fenomeno
descritto della transumanza singola o familiare. Ovviamente lo scampo è
parziale. Se non si ha la sfortuna di trovarsi nel classico ‘luogo sbagliato
nel momento sbagliato’ e finire lacerati da un’autobomba si vive sotto il
ricatto di dover pagare ai talib tangenti per usufruire di “protezione” o
servizi (acqua, elettricità, trasporti) controllati dai manipoli di miliziani. Fare
una ricognizione dei tristi dati dell’anno che s’è chiuso è difficile anche per
strutture organizzate come l’Onu. Le cifre raccolte sino a ottobre scorso contano 8500 fra morti e feriti
civili, ma esistono gli itineranti che sfuggono, se non ai soprusi che
incontrano ovunque, certamente alle statistiche, anche quelle tragiche di
morte. Nell’ultima esplosione al centro di Kabul, le vittime potrebbero essere
95 o 105. Macabramente non si sa a quanti sfortunati appartengano certi poveri
resti.
quindi?
RispondiEliminache fare? lenin