A quattro giorni dal voto per le presidenziali
il governatore della provincia di Teheran, Hossein Hashemi, ha ricordato che
tutti i raduni a sostegno dei candidati sono vietati. Egualmente eventuali
incontri pubblici davanti al quartier generale del proprio politico hanno
bisogno d’un permesso governativo. E’ una sorta di stretta dall’alto quella che
si percepisce in queste ore nel Paese dove in sei aspirano alla poltrona di
Capo di Stato, ma solo in tre appaiono in grado di conquistarla: il presidente
uscente Rohani, che può ritrovare l’appoggio di moderati, di riformisti anche
radicali e della massa della popolazione che non vuole compiere passi
all’indietro che, come all’epoca di Ahmedinejad, incrementino la tensione con
l’Occidente. E due personaggi della società conservatrice: il laico sindaco
della capitale Qalibaf, e l’ayatollah Raisi, uomo vicino al clero
tradizionalista, benvisto dalla stessa Guida Suprema. Quest’ultima, intervenendo
ufficialmente qualche giorno fa, aveva fatto riferimento a tre scopi su cui
lavorano i nemici dell’Iran: quello a breve termine riguarda la sicurezza
interna, che si vuol colpire diffondendo caos e sedizione. Segue un obiettivo a
medio termine, volto a indebolire l’economia o lasciarla paralizzata così da
peggiorare le condizioni di vita della popolazione. Contro tale disegno bisogna
migliorare le linee produttive, spronando creatività e progettualità interne
che, comunque secondo Khamenei, da tempo sono riprese.
L’intento più subdolo, a più lunga gittata,
punterebbe all’eliminazione dell’establishment islamico e al mutamento di
orientamento rispetto alla linea della Rivoluzione islamica finora seguìta. E’
evidente come un intervento di questo genere ponga l’ago della bilancia a
favore dei candidati conservatori che, però, non hanno trovato di meglio che
presentarsi entrambi e divedere il fronte dei sostenitori. Di fatto si ripete,
seppur in maniera meno copiosa, quella frammentazione già registrata nel 2013
che favorì l’ascesa di Rohani. Però, come allora, lui dovrebbe ottenere il
pieno di voti subito, al primo turno, perché l’ipotesi di un ballottaggio con
uno dei due tradizionalisti potrebbe riversare su Qalibaf o Raisi anche i
consensi ricevuti dall’altro. Stavolta dietro le quinte non ci sarà il
pragmatico Rafsanjani, scomparso a gennaio, controllore del pesante voto dei commercianti,
ma la sempre viva influenza del suo ex entourage dovrebbe confezionare un
secondo mandando per il presidente-diplomatico. Eppure la campagna elettorale di
Qalibaf è stata rivolta a una spietata critica della sedicente apertura anti
sanzioni di Rohani. Il politico sponsorizzato dai pasdaran ricorda come in
quattro anni la popolazione ha ricevuto solo promesse e pochi fatti. Anche
Raisi ha incentrato gli ultimi interventi sull’argomento del sano realismo,
evidenziando ciò che distingue le intenzioni dalla concretezza d’un vero
riequilibrio economico, altrimenti si è di fronte solo a proclami che hanno il
sapore della beffa.
Per tacere d’una presunta crescita, risultata
tuttora deficitaria... La morsa dei due agguerriti avversari potrebbe, perciò, soffocare
Rohani più di quanto quest’ultimo preventivasse sin a un mese fa. Ma
nell’incertezza gli analisti prevedono minori scossoni e nessuna contestazione
di piazza, come accadde nel 2009. La gioventù, che mal sopporta il clero e la
sua supervisione su leggi e governo, deve fare i conti coi coetanei non solo di
campagna ma gli stessi metropolitani sensibili ai discorsi di attacco alla
nazione e di destabilizzazione anche attraverso il voto. Un fattore che
compatta attorno alle prospettive certe attualmente incarnate dal clero
moderato di Rohani. Ovviamente se le porte socchiuse a investimenti che non
arrivano, per nuovi veti politici della Casa Bianca, l’orgoglio interno può
aggirare l’ostacolo, come sta già facendo guardando a Oriente, verso i colossi cinese
e indiano già in prima fila. E quel che segnerà l’attenzione maggiore, più
dell’attuale figura presidenziale, è la carica della futura Guida Suprema, per
sostituire un Khamenei malato e dai medici dato a fine corsa. E’ su questo
ruolo che gli ayatollah lotteranno intensamente, perché ne va del proprio
domani anche personale, con la popolazione a osservare una scelta che a certi
figli della Rivoluzione Islamica oggi comincia a star stretta.
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