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venerdì 11 marzo 2016

Erdoğan: concubine e onnipotenza ottomana


L’harem? Scuola di vita per le donne. Non solo lo pensa, ma l’afferma pubblicamente Emine Erdoğan, sicuramente per tenere il passo del consorte-sultano che, fra una repressione e l’altra, non perde occasione per evidenziare la nostalgia ottomana. La first lady turca l’asseconda e coscientemente sostiene come le giovani donne mantenute e segregate nel palazzo Topkapi fino all’ultima dinastia con Mehmet VI, trovassero in quella condizione e in quel luogo formazione ed educazione all’esistenza. Una chicca da gossip, se non ci fosse l’inquietante realtà regressiva in fatto di diritti in cui si dibatte la società turca. L’evidenziano femministe impegnate contro ogni genere di maschilismo laico, kemalista, islamico perché su questo terreno quel potere si somiglia, nelle istituzioni e in ogni angolo della società. In pubblico e in privato. Simili affermazioni, che sembrano vere deflagrazioni provocatorie, non sono sparse a caso. Non sono gaffes, tutt’altro. Rientrano nel disegno iperconservatore intrapreso dal presidente che vuol dire la sua anche in fatto di costume: “Le donne sono soprattutto madri” ha affermato in occasione della ricorrenza dell’8 marzo.
Quando non tuona contro i nemici interni (terroristi veri o presunti, popolo kurdo, oppositori in genere, operatori dei media) Erdoğan lancia i suoi sproloqui para paternalisti che sono un invito a guardare al passato. Quella imperiale e ottomana è diventata un’aspirazione ossessiva che travalica anche i richiami islamici a cui si rifà il modello del Partito della Giustizia e dello Sviluppo da lui fondato. Da lui, ma non solo la lui. Alcuni padri di quel progetto, fra cui l’ex presidente Gül, sono entrati in contrasto con l’autoritarismo individualista dell’ex premier, che ha posto a capo del governo il fedelissimo Davutoğlu (di recente barattatore del business dei profughi con l’Ue) e sta incarnando la funzione presidenziale sognando un presidenzialismo il più esasperato e soggettivo possibile. L’egocentrismo e la prassi nel gestire in prima persona progetti e potere temono oscuramenti e forza altrui, così è entrato in rotta di collisione con un sodale del tempo andato come Fethullah Gülen, contro cui ormai si scontra apertamente perché non accetta rivalità nella stessa famiglia politica islamista.
Erdoğan sembra incarnare un mix fra ciò che Atatürk ha rappresentato negli anni della Turchia moderna e forme conosciute nelle vicende di questo Paese che vanta sei secoli d’impero (1299-1922). Se non è una riedizione del sultanato, o del califfato, che l’attuale presidente agogna, è comunque un sistema di comando che si perpetua. Attivando quello scambio di ruoli in cui è maestro un altro autocrate dell’attuale geopolitica mondiale: Vladimir Putin. Oppure adottando quel populismo che accompagna ogni cesarismo della Storia, facendolo sfociare in bonapartismo dittatoriale. Allora i continui richiami alle glorie dell’ultimo grande impero dell’umanità, i palazzi da mille e una notte con mille e più stanze, gli orpelli e i paramenti mostrati dai candidati dell’Akp finanche sui manifesti elettorali, e i citati richiami su usi e costumi per le donne rappresentano solo una sceneggiata? Sicuramente no. Vedremo fin dove il presidente megalomane intende condurre i suoi piani. Sebbene la storia ottomana indichi proprio nelle congiure di palazzo una delle insidie maggiori per sultani e gran visir.

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