La
normalità dell’autobomba
- La Turchia che attacca e subisce, che conta vari nemici e vorrebbe aumentarne
numero ed efficacia, la Turchia dell’establishment che cerca di normalizzare il
terrorismo imparando a conviverci, che afferma di combatterlo senza far
comprendere se riuscirà nell’intento o se ne servirà per governare in
emergenza, rifà i conti con l’inquietante presenza dell’autobomba. Che come il
17 febbraio scorso s’acquatta fra i Palazzi del comando ma non li squassa,
colpisce la Turchia delle gente comune, di ogni tendenza politica e di ogni
etnìa, quella che s’accalca alle fermate dei bus o passa per strada. Questa
Turchia guarda attonita, magari piange e si dispera, ma riprende la marcia. C’è
distacco e pacatezza nell’intervento degli addetti all’emergenza (polizia,
vigili del fuoco, personale sanitario) che pure hanno l’ingrato compito di
dover mettere mani e occhi dove più straziante è il passaggio della morte,
sopportata come si trattasse di campi di battaglia. Il ruolo impone
comportamenti che, qualora ci fosse e sicuramente c’è, non devono far
trasparire l’emozione.
Menti e artificieri - Sembra che non solo i professionisti
dell’emergenza accettino l’autobomba con acquisito fatalismo. La società turca,
dopo una corsa sfrenata alla trasformazione, si trova a dover vivere l’orizzonte
dell’incertezza inzuppato nel sangue, ossessionato dalla paura come se si
trattasse dell’unica via percorribile. La vita accanto alla bomba sembra
appartenere al popolo turco come la guerra quarantennale appartiene all’afghano
dei nostri giorni. Anche l’acuto politologo non può dire con certezza quanto
l’attentato di ieri sia l’arma scelta da Erdoğan per rilanciare il suo percorso
securitario, lo strumento dei nemici da lui indicati nel Pkk, quello della
concorrenza islamica esterna (il Daesh) e magari interna (il movimento Hizmet
represso anch’esso, ma non per questo sulla via dello scontro armato). Non ci
sarebbe da stupirsi se anche quest’ultime accuse da parte governativa si materializzassero.
Il gioco occulto e sporco è l’altra faccia del percorso del mistero solitamente
praticato dalle Intelligence; che talune azioni possano essere orchestrate con
fini pluriarticolati è la parte meno segreta dei Servizi.
Convivere con la
morte - Ma non è tanto
questo su cui ci soffermiamo, soprattutto in assenza di chiare prove. Parliamo
della normalizzazione dell’emergenza che porta acqua al fronte degli uomini
forti: islamici vestiti da borghesi, in divisa o in tunica da imam. Non è
l’immagine bensì la sostanza di pensieri, parole e fatti a caratterizzare i
loro piani. I progetti di scontro passano nelle pratiche dell’Islam politico
che, con l’attuale presidente, ha illuso una nazione parlando di Turchia
modernizzata ma la fa vivere nell’incubo dei tempi bui di golpe e guerra
civile, etnica e politica, contro kurdi e opposizione. Oppure nella
restaurazione offerta dal generale musulmano al Sisi che, come ogni militare di
Maghreb o Mashreq con cui l’Occidente ha stabilito per decenni i propri affari,
risulta funzionale al neo colonialismo di ritorno e alle geo strategie future.
E ancora nella furia iconoclasta e sanguinaria dei miliziani di Al Baghdadi che
uccidono per sé e Allah, fuori da ogni Corano, manovrati dal sedicente Califfo
e dai sempre presenti agenti infiltrati. Così i guerrafondai d’Occidente, la
loro economia delle armi, l’armata dell’economia globale possono continuare e
scatenare nuove guerre di civiltà. Per il popolo, che deve imparare a vivere
con la morte e regalarle anzitempo l’esistenza.
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