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venerdì 5 giugno 2015

Quattro Turchie, un potenziale dialogo

Dall’Erdoğan contro tutti, al tutti contro Erdoğan. Ma in quella diffusa bagarre che - tornando al gioco di parole - colloca le attuali elezioni politiche turche nel classico “tutti contro tutti” si può notare qua e là qualche interesse intrecciato fra partiti realmente contendenti. Che non sono molti, solo quattro hanno la possibilità di ottenere seggi in Parlamento superando la soglia del 10%. Gli islamici dell’Akp (oggi seduti su 312 scranni), i repubblicani del Chp (125), i nazionalisti del Mhp (52), i filo kurdi del Hdp (29). Si detestano o semplicemente s’odiano, mai s’unirebbero l’uno con l’altro, seguendo di fatto tendenze precostituite. Eppure.

Qualche comune interesse - Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) punta ad agguantare i 330 seggi che gli consentirebbero di cambiare in solitaria la Costituzione che il leader indiscusso, collocato plebiscitariamente da dieci mesi a capo della della nazione, vuole rendere presidenzialista. Eppure, se quest’obiettivo devesse svanire il movimento fatto regime avrebbe due obiettivi da condividere col Partito democratico dei popoli (Hdp): rilanciare la trattativa di pace col Pkk e riscrivere la Carta costituzionale. Su quest’ultima lo scambio sarebbe: presidenzialismo per Erdoğan e soci, riconoscimento dei diritti delle minoranze per la coppia Demirtaş-Yüksedağ. Un punto ciascuno ed entrambi contenti, alla faccia del partito popolare repubblicano (Chp) e di quello nazionalista (Mhp) che rispettivamente disprezzano il presidenzialismo e la trattiva coi guerriglieri kurdi, oltre a non volere né potere patteggiare una virgola col partito islamico, pena lo svergognarsi coi propri elettori. 

Crescita ingessata - Basta questo primo passaggio attorno ad alcuni obiettivi per comprendere come i gruppi più ingessati siano quelli del laicismo kemalista che non collaborano fra loro né affondano colpi per cambiamenti di sorta. Conservano un elettorato prevalentemente urbano e tradizionalista, ceti medi leggermente progressisti o sul fronte opposto apertamente fascisti e golpisti, ma restano tendenzialmente minoritari. Eppure recenti sondaggi li danno in crescita, si prospetta un 26% per il Chp e addirittura il 18% per il Mhp; ma la loro proiezione di rispettivi 134 e 100 seggi non produrrebbe nessuna ipotesi governativa, perché l’Akp,  dato in ribasso al 41%, incamererebbe pur sempre oltre 250 parlamentari. Questa l’ipotesi più sciagurata per il gruppo islamico che potrebbe formare un governo solo con un appoggio esterno, dato da chi è tutto da chiarire. Ma, l’abbiamo ricordato, l’unica apertura può riguardare la formazione dell’Hdp.

Sano pragmatismo - Qualora il sostegno dell’urna fosse più robusto (45%) l’Akp potrebbe sicuramente formare un esecutivo di maggioranza, come sta facendo da tempo, ma per la riscrittura della Costituzione entrerebbe in ballo il patteggiamento con l’Hdp. Il do ut des spaccherebbe il capello in quattro, i democratici filo kurdi non amano il presidenzialismo, tantomeno l’interpretazione che ne sta dando Erdoğan prima del tempo, visto come si comporta rivestendo, anche in queste consultazioni, un ruolo tutt’altro che super partes. Una trattativa, dunque, sul filo del rasoio, ma farla saltare danneggerebbe entrambi gli schieramenti, e c’è chi crede che un sano pragmatismo possa far superare barriere ideologiche precostituite.

Prove di dittatura - Lo scenario giudicato più inquietante, non solo dalle opposizioni (anche quelle che non vanno al voto per scelta o per impossibilità percentuale) bensì da organismi internazionali sui diritti umani è un successo dell’Akp oltre il 48%. Fra l’altro se l’Hdp non dovesse raggiungere il 10% dei consensi il premio di maggioranza favorirebbe enormemente il partito per la Giustizia e lo Sviluppo. Con la maggioranza assoluta farebbe man bassa di seggi e di velleità politiche, trasformerebbe la Costituzione non solo introducendo ufficialmente il presidenzialismo, ma insinuando sempre più normative di società islamica, taluni politologi sostengono in odore di califfato. Stamane, in un intervento su Hurriyet, un editorialista parla esplicitamente di possibile dittatura che potrebbe scaturire da queste elezioni, criticando la linea di condotta assunta dal presidente che incita gli elettori a sostenerlo in una sorta di ‘guerra di liberazione’. Mentre ciò che accade nel Paese va in senso opposto, fra segreti di Stato, operazioni sporche (il caso degli armamenti all’Isis denunciato dal giornalista Dündar), attacco alla libertà d’informazione, minacce da regime.  

Volontari nei seggi - Per la delicatezza del momento, per la tensione crescente nell’opinione pubblica e fra i partiti, due organismi neutrali “Piattaforma per il voto turco” e “Votare e oltre” hanno organizzato un monitoraggio dei seggi sparsi per il Paese per tenere sotto controllo le fasi del voto e dei successivi conteggi, ne sono coinvolti migliaia di volontari. L’Osservatorio non avrà compito facile, specie nelle zone rurali anatoliche dove, come accadde nelle amministrative 2014 si ebbero polemiche e scontri fra fazioni.

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