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domenica 3 maggio 2015

Kabul, inizia il processo per il linciaggio Farkhunda

Per i tempi giuridici afghani è iniziato anche in tutta fretta (poco più d’un mese) il processo a 49 uomini accusati d’aver massacrato la ventottenne Farkhunda a calci, pugni, bastonate e poi d’averne bruciato il corpo. La colpa della donna - tutta da dimostrare - sarebbe stata quella d’aver dato fuoco a una copia del Corano. Testimoni sostengono che il gesto blasfemo non è mai accaduto. Ma già si sente dire che egualmente anche il corpo di Farkhunda non avrebbe subìto lo scempio della combustione. Il linciaggio mortale, però, c’è stato e la colpa di diciannove fra gli accusati, tutti poliziotti che vestivano la divisa, è quella di non essere intervenuti. Di non aver frenato la furia maschile e maschilista, ammantata da presupposti di tradizionalismo religioso.

Il procuratore di Kabul ha chiesto al capo della polizia e al ministro dell’Interno del governo Ghani di presenziare al processo su cui si concentra l’attenzione di molti media, interni e stranieri, anche a seguito della significativa ondata di protesta femminile che a fine marzo scorso aveva visto mobilitarsi duemila donne in corteo nella capitale afghana. Un evento straordinario in una città in perenne assedio, dove le stesse manifestazioni sociali e politiche sono rarissime per ragioni di sicurezza e timore di attacchi talebani. Nonostante il crimine non sia passato sotto silenzio, come accade per ordinari omicidi femminili, le conseguenze non sono per nulla scontate sul versante della giustizia. Il fatto che un congruo numero di agenti sia sul banco degli imputati può diventare ostacolo per una condanna esemplare.


Perché, come nel mondo a noi più prossimo, le istituzioni fanno quadrato attorno a quelle strutture che le appartengono. Inoltre, tutto ciò che riguarda polizia ed esercito afghani vedono intervenire, e interferire, chi sostiene e promuove questi organismi: il governo Ghani e i suoi tutor statunitensi. Costoro, in una fase di ulteriore difficoltà per la situazione interna, fanno di tutto per reclutare uomini e irreggimentarli nei corpi che difendono un modello statale totalmente claudicante. A chi veste l’uniforme vengono promessi salario e impunità, altrimenti raggiungibili nelle bande private di Warlords e nelle milizie talebane. I comportamenti di ciascuna delle parti spesso coincidono, soprattutto riguardo al fondamentalismo religioso e comportamentale.

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