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giovedì 9 aprile 2015

Afghanistan, quotidiane esecuzioni alleate

E’ un giovedì come un altro nella città di Mazar-e-Sharif, capoluogo della provincia settentrionale di Balkh, in Afghanistan. Un gruppo di cinque uomini rapidi, armati, determinati penetrano in un compound sede del capo procuratore regionale. Sono attentatori talebani e, come in altre occasioni, indossano divise dell’esercito locale, così non vengono fermati da nessuno. Gettano una bomba a mano all’ingresso della struttura. La polizia beffata risponde al fuoco e chiama rinforzi, mentre due agenti e il capo della polizia restano immediatamente uccisi. A fine sparatoria si raccolgono i cadaveri di altri cinque poliziotti e quattro giudici per un totale di dodici morti e settanta i feriti fra cui molti passanti. Come in centinaia di situazioni simili, sebbene negli ultimi tempi Mazar era rimasta esente da attentati.

A Jalalabad, verso il confine pakistano, una squadra delle Forze Armate, quelle addestrate dai ‘consiglieri’ statunitensi, nel corso di un pattugliamento incrocia un reparto americano. Un soldato afghano prende la mira e fredda un collega a stellestrisce e in rapida successione ne ferisce due. Nello scambio a fuoco gli viene restituita la pariglia: ucciso anche lui. Si trattava d’un talebano infiltrato? Non lo saprà mai il generale Fazed Ahmad Sherzad, il capo della polizia dell’area di Nangarhar, che ha svelato l’incidente alla stampa ammettendo che è avvenuto dopo un incontro fra leader politici locali e personale dell’ambasciata statunitense della città sul confine orientale. L’annuncio è seguito anche da un incrocio di dati su feriti, due da ambo le parti, non dichiarati e poi svelati con l’aggiunta d’un morto in più, anche sulla sponda americana. Lo conferma pure un dispaccio della Nato.

Ciò che non viene citata è l’estrema insicurezza su cui si basa l’accordo sulla sicurezza sottoscritto dal governo Ghani, che ormai palesemente costituisce solo un pretesto per la conservazione in loco d’un certo numero di militari americani. Impegnati nel lavoro strategico nelle basi aeree più che nella preparazione di truppe ampiamente infiltrate di elementi insorgenti. Un disegno evidente con cui si sostiene di restare ad addestrare e organizzare l’esercito afghano per renderlo autonomo e fargli almeno controllare le frontiere interne, ma di fatto non si fa nulla per la sua efficacia e reale affidabilità per ogni genere di sicurezza, dalla propria incolumità a quella di Istituzioni e popolazione. Continua a proliferare il combattentismo privato (i gruppi paramilitari di vecchi e nuovi Signori della guerra) e ulteriori contractors, come i citati Marg (cfr. http://enricocampofreda.blogspot.it/2015/03/i-signori-della-morte.html). 

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