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sabato 3 gennaio 2015

Galera Egitto: fra reporter di Al Jazeera e detenuti dimenticati



Se usciranno, ma non è affatto scontato, sarà per la decisione dell’emittente televisiva qatarina di voler chiudere Mubasher Masr Channel più che per un gesto di clemenza. Quel canale di Al Jazeera è un coltello nel fianco della casta militare del Cairo e risulta indigesto anche a poliziotti e magistrati. Per i servizi trasmessi i giornalisti australiano Peter Greste, egitto-canadese Mohamed Fahmy ed egiziano Baher Mohamed sono stati condannati chi a sette, chi a dieci anni, inanellando finora 371 giorni di galera. Motivi: concorso in terrorismo, attentato alla sicurezza nazionale e diffusione d’informazioni false, accuse respinte dai tre che sostengono d’aver solo svolto il proprio lavoro. Fra cui interviste a taluni leader della Fratellanza Musulmana poi arrestati (Mohammed Badie) che non rappresentavano certo un’adesione alla politica della Confraternita come sostengono i pm. Eppure da oltre un anno l’aria di restaurazione, che aveva rovesciato il presidente Mursi e represso le proteste islamiche, non va per il sottile. Dopo i militanti della Brotherhood sono finiti dentro giornalisti, blogger, agitatori di Tahrir, oppositori di varie sponde. Rispetto alla massa degli attivisti incarcerati con numeri che oscillano fino alle 12.000 unità (il governo rigetta queste cifre ma non ne fornisce altre, tanto che da tempo si parla di cittadini desaparecidos), per i tre cronisti il tam-tam di sostegno è stato battente.

Da quello della potente tivù di Doha, a interventi di Amnesty International, interrogazioni di parlamentari europei e canadesi, però la situazione generale è rimasta ostile. La rinuncia a “mettere il naso negli affari egiziani per ordire complotti”, che è l’accusa rivolta ai reportages di Al Jazeera, può distendere i rapporti fra Egitto e Qatar e ora i giudici hanno prospettato una revisione del processo. Anche per casi politici alla ricerca della piena legittimazione internazionale, come quello del presidente-generale Al Sisi, il corto circuito che si crea coi lavoratori della comunicazione e della documentazione è crescente. Un decreto emanato in novembre che può applicarsi alla situazione dei tre, ovviamente se un nuovo processo ridimensionerà le accuse, può prevedere l’allontanamento di cittadini stranieri che verrebbero espulsi. Non se ne avvantaggerebbe il cronista egiziano Mohamed. Negli sviluppi aperti la direzione di Al Jazeera ha dichiarato che le autorità del Cairo “Possono scegliere di continuare a mostrare al mondo il proprio volto peggiore o liberare rapidamente i tre”. Una stoccata che non risulterà gradita all’orgoglio del presidente, ma con cui lo staff televisivo qatarino cerca di giustificare la sostanziale rinuncia al principio dell’informazione su cui ha costruito il proprio successo. La partita sui tre è aperta e per nulla scontata. Comunque c’è chi sta molto peggio: per i free lance senza tutele e gli attivisti dell’opposizione islamica e laica la chiave delle celle è stata gettata. 

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