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martedì 1 ottobre 2013

Il doppio binario di Obama


Doppiogiochista, apprendista stregone, Churchill o Forrest Gump prestato alla politica il presidente statunitense Barack Obama con la mediazione sulle armi chimiche di Asad (i cui siti solo dieci giorni addietro rischiavano di beccarsi i Tomahawk) e con l’apertura all’ayatollah Rohani è tornato sotto i riflettori mediatici e all’attenzione degli analisti politici. Si sa che sul primo cittadino d’America i riflettori restano sempre accesi, ma a lungo hanno evidenziato carenze, titubanze, errori e omissioni di un’amministrazione che da tempo naviga a vista sul non facile scacchiere internazionale e principalmente nel sovraesposto Medio Oriente. La cartina al tornasole di questo procedere zigzagante è la prassi delle opzioni opposte, estranea alle tattiche previste dal carnet delle scelte nelle situazioni di grave instabilità. Da cui ‘guerra e pace’ in Siria come nell’ultimo Afghanistan. Di sicuro ha colpito la tempistica con cui in spazi temporali brevissimi Washington dice “bianco e poi nero” con gli annessi scenari che quelle tonalità comportano.
Oscillazioni - Da qui le tracce d’incertezza oppure di mero cinismo che hanno caratterizzato le ultime due stagioni dell’Obama-pensiero, in Egitto altalenante fra l’occhiolino rivolto ai Fratelli Musulmani e il benestare offerto al golpe bianco del sempiterno esercito con successiva sanguinosa repressione; mentre sullo scenario siriano ai missili puntati su Damasco è seguito dietro front, quasi si trattasse d’un gioco. Questi stessi passi suscitano l’approvazione di chi ne constata il flessibile realismo e chi all’inverso evidenzia il contorno di scarsa credibilità assunto dall’attuale establishment statunitense. Secondo altri osservatori esso s’è ridotto a una dipendenza diplomatica da leader più determinati che parlano russo, francese o altri idiomi. In tanti concordano su un aspetto che in ogni angolo del medioriente, e probabilmente altrove, va consolidandosi in questi mesi: un progressivo e inesorabile svilimento del ruolo di gendarme del mondo, sorto con la dottrina di Monroe e sedimentato nel sistema imperialista statunitense.
Segnali - Funzione oggi assai fluttuante, sia per gli andamenti dell’economia mondiale, con o senza la crisi, sia perché al Congresso, in tanti stati della Confederazione e nell’orizzonte di molti yankee questa prospettiva fa rima con problemi e declino. Inoltre le considerazioni di alcuni analisti (Robert Kuttiner fra loro) ribadiscono perentoriamente come Oltreoceano non si possa negare la comparsa di una specie d’inquietudine nel sentirsi potenza militare sempre e comunque disposta a intervenire in ogni angolo del pianeta. A seguire c’è una crescita dell’orientamento, non diciamo antimilitarista, ma esplicitamente contrario alla guerra. Lo sostengono taluni sondaggi fra gli elettori democratici e pure repubblicani. Sondaggi d’opinione da prendere con le pinze, comunque segnali di cui i commentatori tengono conto anche fuori dall’immenso involucro a stelle e strisce che sigilla il popolo nord americano.
Scacchi - E’ chiaro che non basta una telefonata al volto oggi sorridente del “Grande Satana” per attenuare tutti i timori di deflagrazione dell’incendio mediorientale. Fra l’altro c’è chi rema contro: in casa, tutti coloro che mettono in guardia Obama dall’abile diversificazione del diplomatico Rohani, e da fuori gente come il Netanyahu da oggi ospite rancoroso della Casa Bianca che è venuto a dir la sua. Né basta uno spiraglio aperto pur sui temi caldissimi che hanno incrinato gli equilibri dell’area a trasformare gli statunitensi in immacolati “portatori di pace”. In ogni caso si prova a leggere fra le righe questa che è stata definita la “tridimensionale partita a scacchi del presidente Usa”. Si cerca di decriptarne passi in avanti e indietro, discernere i bluff veri dalle finte che somigliano alla giocata del pivot capace di schiacciare la palla a canestro. Un colpo efficace che in più fa impazzire gli spalti. L’unica amara sorpresa che potrebbe derivare da tante giravolte è scoprirne (il sospetto c’è) un’essenza funzionale solo alla propria sopravvivenza politica. Attuata, come s’usa fare, per risolvere le questioni domestiche e gratificare l’autoreferenzialità del prim’attore. 

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