D’improvviso lo scontro per il potere, che da un anno oppone lo sfiduciato premier Iman Khan a Shehbaz Sharif che gli è subentrato, sembra in via di soluzione. A Islamabad, nella tarda serata di martedì, si sono incontrate le delegazioni del Pakistan Tehreek-e Insaf il gruppo dell’ex campione di cricket e del Pakistan Democratic Movement, l’alleanza partitica responsabile della sua caduta. Della coalizione anti Khan fa parte la Lega Musulmana-N, il cui segretario Achakzai si mostra possibilista su una consultazione elettorale anticipata, cavallo di battaglia delle proteste del Pti. Addirittura s’avanza l’ipotesi di un’elezione per il 14 maggio, giorno in cui un altro competitore mediorientale come la Turchia è impegnato in una doppia consultazione, presidenziale e parlamentare. Questo sprint verso le urne si dimostra velleitario per l’amministrazione di Islamabad che deve innovare anche le assemblee legislative nelle calde province del Punjab e del Khyber Pakhtunkhwa. E’ più probabile che si vada alle urne ad ottobre, anche per garantire a ciascun partito l’adeguata preparazione. I due schieramenti si sono consultati dopo i ripetuti inviti al confronto lanciati dalla Corte Suprema Pakistana, preoccupata per le continue tensioni sul tema elettorale. La novità è comunque l’apertura fra parti rimaste ai ferri corti fino a pochi giorni fa, col Paese che deve districarsi fra crisi economica, inflazione, una disoccupazione senza precedenti, problemi di sicurezza interna e questioni internazionali. Le sfide geopolitiche che vedranno fra dodici mesi il vicino gigante indiano impegnato in quello che il premier Modi vuole trasformare in un referendum sulla sua persona per intraprendere un terzo mandato e l’asse della supremazia globale su cui Stati Uniti e Cina si contendono il futuro proprio nei territori asiatici suggeriscono al ceto pakistano maggiore prudenza e minore rissosità.
Fattore distintivo d’uno scontro interno susseguitosi per un anno fra accuse di complotto con tanto di regia statunitense, coinvolgimento della potentissima lobby militare, violente proteste di piazza, e poi il ferimento di Khan in un attentato dai contorni dell’avvertimento. Il suo partito non era più rientrato in Parlamento volendolo delegittimare. Qualche analista locale intervistato da Al Jazzera sostiene la precarietà del riavvicinamento, le due parti non intenderebbero risolvere pacificamente le controversie nazionali. In effetti nei suoi quattro anni di guida, giudicata non a caso populista, il Pti si rifiutava d’incontrare i leader degli altri partiti considerati corrotti per un passato di ruberie e oggettive speculazioni tangentizie. Però le vicende nazionali s’intrecciano, come detto, a quelle mondiali. Il vertice organizzato a Doha dalle Nazioni Unite sull’assetto dell’Emirato afghano, cui hanno partecipato grandi potenze e tanti Stati del grande Medio Oriente, coinvolge il Pakistan come un territorio posto in prima linea. Per la nota porosità delle centinaia di chilometri di quella che fu la ‘Linea Durand’ attraversati da miliziani e per le relazioni fra i Tehreek-e Taliban e i turbanti di Kabul. Nella recente assise Onu contraddittoria è risultata l’assenza della delegazione governativa afghana, rimasta priva d’invito e di rappresentanza. Ancora una volta si discute delle sorti di quei luoghi sulla testa di chi la abita e di chi la governa, pur trattandosi d’una guida sgradita ai più. Invece il Consiglio di Sicurezza ha acconsentito ad Amir Muttaqi, ministro degli Esteri dell’Emirato, di recarsi proprio a Islamabad per incontrare gli omologhi pakistano e cinese, impegnati a discorrere d’un nuovo ‘corridoio economico’ fra le due nazioni. E’ un piano che prevede investimenti miliardari di Pechino per infrastrutture e ovviamente affari mercantili con tanto di sfruttamento di risorse del sottosuolo. A chi vincerà le prossime elezioni farà in ogni caso comodo.
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