Occorrono nove milioni di tonnellate di frumento all’anno per produrre il pane che sfama 70 milioni di egiziani. Così i due-terzi della popolazione che mangia tanti aish, continuerà ad avere cinque pani sovvenzionati al prezzo politico di 1.5 cent, anziché 4 cent cadauno. Da tempo il grande Paese arabo importa cereali, accade da decenni, molto prima che il conflitto russo-ucraino bloccasse esportazioni e rifornimenti e che la conseguente speculazione dei grandi distributori e delle Borse mondiali facesse lievitare il prezzo del grano, come sta accadendo da mesi. Per quest’immissione di derrate il governo del Cairo è passato da una spesa di tre miliardi di dollari annui a quasi il doppio, una zavorra per il suo indebitamento. Nell’eventualità che le scorte russe e ucraine, costituenti il 62% degli approvvigionamenti nazionali, scarseggiassero, s’è aperto anche un fronte d’importazione dall’India. La quale nell’ultimo mese ha bloccato le cessioni per timore di carenze alimentari interne. Al Sisi cerca prestiti dal FMI, e vista la disponibilità a bloccare le migrazioni che partono dalle sue coste mediterranee verso l’Europa, la Ue metterà una buona parola affinché la direttrice del Fondo Georgieva elargisca contributi. Su un altro fronte politico le petromonarchie continuano a venire in soccorso al generale-presidente, è recente una loro tranche di 22 miliardi di dollari da cui dovranno scaturire contropartite. La più corposa è l’avvicinamento dell’Egitto alla ‘ricomposizione’ mediorientale prevista dagli ‘Accordi di Abramo’. C’è da star certi che quasi nulla dei finanziamenti del Golfo sarà impiegato in servizi di pubblica utilità.
Quei capitali continueranno a finanziare il mercato immobiliare, modello cattedrali nel deserto come la New Cairo, che agli emiri tanto ricorda la recente storia con cui hanno plasmato villaggi di pescatori trasformandoli in Abu Dhabi, Dubai, Manama, Doha col loro sfolgorio di grattacieli in vetrocemento. Invece una notizia ha fatto colpo il mese scorso: Siemens, la storica marca tedesca, s’è accordata col governo egiziano per creare d’una rete ferroviaria di 2000 chilometri di Alta Velocità. Un appalto storico per la stessa società di Monaco che vanta 175 anni di attività industriale: oltre otto miliardi di euro. Il contratto comprende accanto alla struttura viaria, 41 treni che raggiungono 230/km orari, 94 treni regionali e 41 per il trasporto merci, più otto depositi e stazioni. Saranno collegate ben sessanta località del Paese. La manutenzione dell’opera risulterà a carico dell’azienda tedesca per un quindicennio. Le strette di mano fra Sisi e Busch, l’amministratore delegato di Siemens, facevano dire ai due che il grande Stato arabo avrà uno dei maggiori servizi veloci del mondo, e che sta per iniziare una nuova era per il sistema ferroviario non solo egiziano e africano, ma dell’intero Medio Oriente. La prima tratta di 660 km si svilupperà lungo l’asse Mar Rosso-Mediterraneo da Ain Sochhna fino ad Alessandria. La seconda, 1.100 km dal Cairo scenderà ad Abu Simbel, ai confini del Sudan, passando lungo il Nilo. Una terza partirà da Luxor puntando su Hurgada per 225 km. Nei piani di Siemens ci sono 40.000 posti di lavoro, più 6.700 nell’indotto.
Poi, fra chi spera di muoversi diversamente in area urbana, sono comparsi i sognatori in bici. E’ chi vagheggia di diffondere coscienza ecologica contro un inquinamento segnato dalla perenne cappa di smog che soffoca una capitale di cui non si conoscono statisticamente le cifre: il numero degli abitanti oscilla fra i 15 e i 21 milioni, le auto attorno ai 6-7 milioni. Agganciato al desiderio ecologista c’è il pragmatismo di chi ambisce a un potenziale mercato di noleggio bici. Una clientela di nicchia esiste già, sono i giovani fedeli all’ambiente. Certo, garantire loro una sicurezza sulle strade è un fattore che sfugge a qualunque previsione per quanto risulti caotico, irregolare, incontrollato il flusso veicolare nella ciclopica metropoli. Non solo perché le piste ciclabili restano un’utopia, ma perché l’assedio quotidiano del traffico, rilancia l’idea di ampliare ulteriormente la rete stradale per sole autovetture in ogni angolo del Cairo, sbancando anche zone abitate. Accade da tempo a catapecchie e abitazioni della vecchia Cairo nella cosiddetta ‘Città dei morti’. Tombe e cimiteri soffocati e avviluppati a una stratificazione urbana millenaria, che rischiano d’essere tutti abbattuti per far posto alla superstrada che non risparmia neppure la collina di Muqattam. Nei punti dove la troneggiante moschea di Mehmet Ali convive da secoli con reperti cristiani, e ospita anche i tristemente noti, per abbandono e arretratezza sociale, copti zabbalin raccoglitori d’immondizia da generazioni. L’altra Cairo destinata a scomparire è quella galleggiante lungo le Corniche, fra Zamalek e El Warraq. Da domani le case galleggianti sul Nilo, apparse in tanta cinematografia esotica o vagamente tale e da anni trasformate in b&b per turisti, verranno trainate via. L’ordinanza della polizia non ammette deroghe, nonostante una petizione dei gestori cerchi di bloccare l’iniziativa. “La scelta” di Sisi, immortalata in una fiction, sembra non avere ostacoli.
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