A osservarle in foto le poche case di fango e
pietra, miracolosamente scampate alle scosse dell’ultimo terremoto afghano
nell’area sismica di Paktika, non differiscono da quelle viste di persona un
decennio fa dentro Kabul. Sì, in una zona neppure tanto periferica della
capitale c’era un accampamento di sfollati dalla provincia di Parvan che viveva
in case di fango e pietra. Stamberghe simili ai tuguri squassati due giorni fa
da un terribile sisma. Erano profughi interni scappati dai bombardamenti a
tappeto della Nato. Ora – scrivono i pochi corrispondenti di agenzie giunti sul
posto – chi scava con le mani fra le macerie con gli occhi colmi di lacrime per
il dolore, la disperazione, la polvere teme due immediati spettri: la fame e il
colera. Con le carenze alimentari la popolazione afghana sta facendo i conti da
mesi, visto che gli aiuti internazionali con cui l’Occidente, prima dei
talebani, hanno pelosamente condizionato quel popolo sono stati interrotti. Il
motivo è noto: bisognava punire l’Emirato fondamentalista e misogeno. Di fatto
si sta colpendo un popolo, comprese le madri e i tanti figli da sfamare. Tutto
ciò segue il soffocante ventennio di occupazione militare che ha pianificato,
in compagnìa d’un ceto politico locale imbelle e corrotto, l’agonia della
nazione. Per rendere schiavo un popolo basta farlo sopravvivere di “aiuti” che
vanno e vengono secondo come si voglia condizionarlo. L’imperialismo lo fa in
molte aree del mondo, in Afghanistan di più. I numeri del disastro crescono:
più di 1.000 i morti, più di 3.000 i feriti e se non si farà in tempo a estrarne
altri da sotto travi, pietre e polvere le vittime son destinate a salire. I
talebani hanno mosso qualche elicottero, pochi, viste le loro incompetenze
tecniche, fino a un anno fa gli elicotteri Nato e dell’Afghan National Forces al più li bersagliavano coi razzi. Si sono
mosse sette ambulanze di Emergency,
ma le strade già impercorribili sono anch’esse spaccate come le case. Racconta
un servizio della Bbc che ha intervistato
familiari rientrati dal confine pakistano dopo il cataclisma: hanno constatato
solo dolore, morti sorelle e parenti prossimi.
Al
lutto stretto tanti afghani sono abituati, tre
generazioni hanno conosciuto lo strazio delle bombe dal cielo e da terra, quelle
americane, dei warlords, dei talebani, ultime dell’Isis Khorasan. La bomba che
viene dal cuore della Terra è l’insidia imprevedibile, che certo lacera
maggiormente poiché slabbrata e abbandonata è la vita in quelle latitudini. Le
scarse carovane di soccorso trovano in ogni villaggio, persone disperate che
mostrano la devastazione, e non sanno come proseguire. Senza aiuti, piuttosto
che morire lì, varcheranno le montagne fisiche e di una sedimentata
disperazione. Migreranno in tanti. Più di coloro che nello scorso agosto volevano
fuggire dai taliban. Quest’ultimi, coi ministri preposti a quel che non sanno
né possono fare hanno scoperto le nudità, chiedendo ogni sorta d’aiuto
umanitario. Loro non sono in grado a fornirne uno degno di questo nome.
Certamente sono inadatti a governare, ma non ascoltarne le necessità vorrebbe
dire peccare di cinismo in misura maggiore della loro sete di potere e della
presunzione che li hanno finora contraddistinti. Chi aiuta chi? può chiedersi
l’evanescente comunità internazionale azzerata dalla geopolitica che da mesi
sta praticando l’embargo a un Paese che soffre la fame. Ieri le Nazioni Unite
hanno messo su una riunione straordinaria per quest’emergenza, Ramiz Alakbarov,
responsabile locale dell’Unama ha
lanciato il suo grido: “Gli attori
umanitari si mobilitino, serve tutto: equipaggiamento di trasporto e scavo,
ambulanze, nuclei medici, medicine”.
I mesi scorsi hanno conosciuto restrizioni continue di materiale e fondi, una
ritorsione contro la politica coercitiva verso le donne praticata dall’Emirato.
Voci raccolte da Tolo Tv, che ha subìto
anch’essa l’obbligo di velo alle conduttrici, ribadiscono l’oppressione di
diritti femminili e all’istruzione ma per salvare vite umane invitano a mettere
da parte ostracismi e fornire i soccorsi primari. Qualcuno ascolterà?
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