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mercoledì 2 dicembre 2020

Egitto, il tempo scaduto che Conte dimentica

Non c’è più tempo aveva annunciato di recente con fare perentorio il primo ministro italiano Giuseppe Conte. Era un monito al presidente egiziano Al Sisi nel quale cercava, in extremis, un briciolo di collaborazione per l’azione penale che il capo della Procura di Roma Michele Prestipino s’appresta a inoltrare al Paese “amico” sull’altra sponda mediterranea. E’ in ballo l’accusa rivolta a cinque agenti degli apparati egiziani di Sicurezza su cui Al Sisi ha competenze e mostra - dopo quasi cinque anni dall’omicidio di Giulio Regeni - connivenze e palesi responsabilità. La maggiore è la copertura che il generale-golpista ha offerto a quel sistema criminale che ha pedinato, rapito, seviziato, assassinato il ricercatore friulano. Allo studioso è stato riservato il trattamento che il regime, creato da Sisi medesimo, applica a oppositori, giornalisti, avvocati dei diritti, attivisti di associazioni umanitarie, e a chiunque si muova per attuare solidarietà e vivere in libertà. Il generale Sabir Tareq, il maggiore Magdi Abdlaal Sharif, il colonnello Ather Kamal, il capitano Osan Helmy, il collaboratore Mahmoud Majem non riceveranno le notifiche dalla Procura romana semplicemente perché la nazione “amica” si rifiuta di collaborare e non fornisce i domicili degli incriminati. L’azione penale si svolgerà, dunque, nel nostro Paese con gli imputati contumaci per volere delle più alte autorità egiziane, a cominciare dal presidente della Repubblica. I contorni per una crisi diplomatica ci sono tutti, sebbene alcune nostre figure istituzionali, per primo il ministro degli Esteri Di Maio direttamente coinvolto col dicastero che dirige, si siano smarcati dalla vicenda e facciano finta di nulla. Oddio, Di Maio in questa losca storia è in ottima compagnìa.

Per anni gli esecutivi italiani hanno tentennato davanti al palese crimine. Quello di Renzi, con Paolo Gentiloni agli Esteri, quello di Gentiloni con Angelino Alfano nel ministero che guarda al mondo, il primo governo Conte con Moavero Milanesi appoggiato alla Farnesina chissà come e perché… Il tempo scorreva, non accadeva nulla. Del resto se si fa una carrellata di chi ha guidato il dicastero degli Esteri nell’ultimo ventennio prima dei citati colleghi (Ruggiero, Frattini, Fini, D’Alema, Terzi di Sant’Agata, Bonino) si ha il polso d’una politica abbandonata al più bieco servilismo di due padroni: la linea di sconquasso regionale imposta dagli Stati Uniti con le invasioni in Afghanistan e Iraq, alla quale abbiamo partecipato in base all’adesione alla Nato; le logiche economiche dettate da una geopolitica malata che riconduce all’affarismo, più o meno lecito, ogni mossa dettata dalla suprema ragion di stato. Di peggio c’è solo la presunta “sicurezza nazionale” con cui lo staff di Al Sisi imprigiona, tortura, uccide sedicenti terroristi che “attentano al futuro del Paese”. E’ ben noto che i rapporti fra Roma e Il Cairo siano dettati da interessi che passano per gli intrecci creati da un’azienda leader nel Pil delle due nazioni: l’Ente Nazionale Idrocarburi. E le scoperte di giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale, con quello enorme chiamato Zhor di cui l’Eni che fu di Mattei detiene il 50%, influenzano le relazioni fra Italia ed Egitto. Ma quest’affare che vale 2.7 miliardi di piedi al cubo di estrazione quotidiana, un piede al cubo sono circa 28 litri e mezzo miliardi di metano, può condizionare e subordinare i princìpi morali con cui la nostra Repubblica difende la vita dei propri cittadini? In queste ore il governo Conte deve chiederselo e risponderne alla memoria di Regeni, ai suoi familiari, all’Italia che ama la verità e la giustizia.

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