Un paio d’anni fa s’era tolto lo sfizio di sfidare Erdoğan
dicendogli: “Non sei il padrone dello
Stato. Sei solamente un viaggiatore, mentre i Lupi grigi, i nazionalisti e i
patrioti tutti, a qualunque stirpe appartengano, sono i gestori dell’albergo”.
Poiché il soggetto è, nel bene e nel male, un uomo pubblico - al secolo
Alaattin Çakıcı, boss della mafia turca - la stampa nazionale riportò
l’avvertimento e in quell’occasione neppure ci fu una condanna, com’era
accaduto per un precedente episodio. Ma per chi ha accumulato 36 anni di
reclusione, dieci mesi in più sono scampoli, e poi il boss di Trebisonda non è
solo un boss. Vanta d’essere un Lupo grigio, amico personale di Devlet Bahçeli,
che lo visitava quand’era piantonato in ospedale e ha provato a incontrarlo
anche in prigione. Dove, comunque, Çakıcı non è più. Nell’aprile scorso per
motivi di pandemia, come parecchi reclusi turchi d’ampia stoffa criminale, ha beneficiato
di un’uscita di prevenzione. Soluzione inapplicata a oppositori e perseguitati
dal regime dell’Akp. Il curriculum di Çakıcı è ricco, oltre che di condanne
d’ogni sorta, fra cui una quarantina d’omicidi, anche di collaborazioni col Mıt
turco. Non in tempi recenti, a metà anni Novanta, quando proseguiva la
repressione della sinistra e imperversava la guerra civile col Pkk. Insomma il
padrino del Mar Nero vanta servizi per quel genere di vatan, noto come ‘Stato profondo’ contro cui Erdoğan e il suo staff
si scagliarono a inizio mandato (caso Ergenekon e simili), per poi
riconsiderare in tempi recenti e nei vari aggiustamenti delle alleanze, idee, tattiche,
uomini, volti. Dovendo sopportare anche quelli trucidi alla Çakıcı,
sguinzagliato quale cane da guardia di quell’ultradestra presente nell’area
criminale dal manovratore Bahçeli. Gli interventi di alcuni studiosi (Posch, Karaveli,
Aydintaşbaş) pubblicati nell’interessante numero della rivista Limes dal titolo “Il turco alle porte”
aiutano a comprendere aspetti che normalmente sfuggono alla cronaca e
all’analisi sui multiformi risvolti della politica turca, recente e passata.
Così l’immagine d’antan offerta dal leader dei nazionalisti, non
solo quella personale in cui mostra più degli attuali 72 anni ma l’entità d’un
partito tutto rivolto al passato oscuro fatto di assassini politici, trame,
golpe, nostalgie fascistoidi, non funge da semplice aggregato alla politica del
governo presidenzialista. Ne determina la svolta, ben più che autoritaria. I trentatrè
voti nazionalisti (l’Akp ne disponeva 315) che nel 2017 servirono al passaggio
parlamentare per apportare le modifiche presidenzialiste pesarono come piombo,
lo stesso dicasi per la successiva consultazione popolare, vinta col 51,4%. Da
quel momento Erdoğan si prendeva la gloria, le interviste televisive, occupava
la scena internazionale, ma Bahçeli dettava l’agenda attorno a questioni come
quella kurda, esasperando la repressione, e rilanciava l’onore dell’esercito
kemalista con la nomina a ministro della Difesa di Hulusi Akar. Militare molto
“atlantista” con una carriera in ascesa in varie operazioni della Nato, anche
quelle nei Balcani (Bosnia, Kosovo) territori che l’asse panislamico della
politica turca osserva sempre con sentimento. Certo, nella notte del tentato
golpe dei militari “gülenisti”, Akar s’era guadagnato la considerazione del
presidente col rifiuto di firmare una dichiarazione di legge marziale
sottopostagli dai golpisti. Un aneddoto lo dà riluttante anche quando gli fu
stretta una cintura attorno al collo. Ma la sua investitura a ministro è giunta
dopo due anni e su spinta del sempre più decisivo Bahçeli. Dunque, come la
prassi del do ut des insegna,
l’ultradestra - protagonista per tutti gli anni Settanta e Ottanta della
politica turca, quindi emarginata dalle versioni liberista e para-riformista
d’un neo kemalismo e dall’islamismo pur ultraconservatore della prim’ora (con
Erbakan) e quello d’avvìo dell’Akp - rientra a pieno titolo nella nuova fase
del Paese. E riceve il massimo dall’appoggio dalle mire personali del potere
erdoğaniano.
Nel progetto di rilancio della Turchia quale potenza regionale,
con una visione anche più allargata, molto si gioca sul versante estero. Qui
Erdoğan ha dato fondo a ogni sorta d’affondo sul confine siriano, poi dallo
scorso inverno in terra e in mare libici, e sui tavoli internazionali dove la
sua “diplomazia militare” sta pagando dal punto di vista politico,
geostrategico e in un futuro, che è già presente, economico. Ma tanta
muscolarità s’è resa possibile perché le Forze Armate approvano e assecondano.
I corpi di terra, aria e acqua, depurati dalle infiltrazioni dei Fetö, sono con
lui. Compresa una riattivata rete di ultranazionalisti, emarginata dieci anni
addietro, cui appartengono gli ex ammiragli Gürdeniz e Yaycı, padri del piano
denominato “Patria blu”. E’ una componente se non proprio militante, vicina al
nazionalismo di Bahçeli che indica la strada da seguire per una Nuova Turchia. Per
plasmare questo terreno, gli ambienti che girano attorno ai due alleati di
governo non hanno dovuto compiere forzature l’uno sull’altro. Fra i tratti
caratteristici del presidente turco c’è l’adeguamento ai nuovi scenari che lo porta
a compiere quei ‘giri di walzer’ capaci di spiazzare chi pensa di collocarlo in
un unico schema. Nelle iniziali mosse da premier lui denunciava il
nazionalismo, seppure nei trascorsi giovanili c’era stato un acceso anticomunismo
che non lo farebbe distinguere da certi attuali teorici dell’ultradestra. E
negli ultimi tempi vari politici, islamisti e non, rivangano grandezze passate
e miti nazionali. Il comune conservatorismo adotta l’islamismo senza farne
l’unica arma, le metafore su “cupole-elmetti
e minareti-fucili” sono sostituite da “popolo
mai piegato, bandiera non ammainata, preghiera sempre presente”. Così la
nuova ideologia basata sul culto statale, sulla forza della leadership, sulla
minaccia dei nemici interni ed esterni cementa la presa su una maggioranza che
può ricavare consensi anche fra coloro che hanno cercato di sgambettare il
regime col voto amministrativo del 2019. La partita della Yeni Türkyie è aperta. I potenziali avversari devono mostrare un
progetto e un’identità capaci di scontrarsi con gli accattivanti sogni d’una
nuova gloria nazionale. Che usa ogni arma e ogni alleanza.
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