Mentre Abdullah,
nominato presidente della Commissione dei Colloqui inter afghani, si dice
fiducioso nell’inizio degli incontri fra la delegazione del suo governo e
quella talebana (però 320 turbanti prigionieri attendono ancora d’essere
scarcerati), nel nord del Paese la città di Charikar è diventata un cimitero.
Una terribile inondazione ha sradicato case e quasi ogni altra presenza della
località pedemontana incavata sotto l’Hindu Kush. Finora si contano
centocinquanta vittime e oltre duecento feriti, alla stregua d’un attentato
jihadista. Flussi d’acqua piovana rombanti come torrenti e grandi come fiumi si
sono riversati in piena notte nelle case, cogliendo le famiglie nel sonno. Crolli,
fughe, annegamenti, schiacciamenti. Un quadro macabro. Alle difficoltà
esistenziali in una zona impervia, al virus pandemico che colpisce anche nelle
aree rurali, s’aggiunge quest’ulteriore disastro con famiglie che dipendono
unicamente da soccorsi governativi (finora si sono mossi alcuni reparti dell’esercito)
e futuri aiuti internazionali. Anche combattenti talebani della provincia di
Parwan si sono resi disponibili ai soccorsi, tranne poi scoprire che alcuni di
loro hanno attaccato un avamposto militare crollato, con conseguente conflitto
a fuoco e vittime pure civili. Tragedia nella tragedia, che la dice lunga sulla
pacificazione attesa coi suddetti colloqui... Sebbene a fine agosto fenomeni
metereologici avversi siano comuni in quelle zone, testimoni anziani
sopravvissuti hanno dichiarato alla televisione nazionale, che ieri s’è
collegata dall’area disastrata, di non ricordare inondazioni tanto drammatiche.
Le case sono state smembrate, spaccate dalla furia delle acque, aperte in due
come fossero fette d’una torta tranciata da gigantesche pale. C’è da dire che
alcuni edifici distrutti erano stati costruiti di recente in zone golenali o
alluvionali, che sarebbero dovute restare inedificabili. Ma le speculazioni
avvenute per il basso costo dei terreni da parte di società e l’avidità di
singoli hanno incentivato un simile sciagurato approccio al territorio,
autolesionista verso se stessi. Questione, comunque, che non è prassi
esclusivamente afghana.
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