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venerdì 28 agosto 2020

L’Afghanistan seppellito nell’acqua


Mentre Abdullah, nominato presidente della Commissione dei Colloqui inter afghani, si dice fiducioso nell’inizio degli incontri fra la delegazione del suo governo e quella talebana (però 320 turbanti prigionieri attendono ancora d’essere scarcerati), nel nord del Paese la città di Charikar è diventata un cimitero. Una terribile inondazione ha sradicato case e quasi ogni altra presenza della località pedemontana incavata sotto l’Hindu Kush. Finora si contano centocinquanta vittime e oltre duecento feriti, alla stregua d’un attentato jihadista. Flussi d’acqua piovana rombanti come torrenti e grandi come fiumi si sono riversati in piena notte nelle case, cogliendo le famiglie nel sonno. Crolli, fughe, annegamenti, schiacciamenti. Un quadro macabro. Alle difficoltà esistenziali in una zona impervia, al virus pandemico che colpisce anche nelle aree rurali, s’aggiunge quest’ulteriore disastro con famiglie che dipendono unicamente da soccorsi governativi (finora si sono mossi alcuni reparti dell’esercito) e futuri aiuti internazionali. Anche combattenti talebani della provincia di Parwan si sono resi disponibili ai soccorsi, tranne poi scoprire che alcuni di loro hanno attaccato un avamposto militare crollato, con conseguente conflitto a fuoco e vittime pure civili. Tragedia nella tragedia, che la dice lunga sulla pacificazione attesa coi suddetti colloqui... Sebbene a fine agosto fenomeni metereologici avversi siano comuni in quelle zone, testimoni anziani sopravvissuti hanno dichiarato alla televisione nazionale, che ieri s’è collegata dall’area disastrata, di non ricordare inondazioni tanto drammatiche. Le case sono state smembrate, spaccate dalla furia delle acque, aperte in due come fossero fette d’una torta tranciata da gigantesche pale. C’è da dire che alcuni edifici distrutti erano stati costruiti di recente in zone golenali o alluvionali, che sarebbero dovute restare inedificabili. Ma le speculazioni avvenute per il basso costo dei terreni da parte di società e l’avidità di singoli hanno incentivato un simile sciagurato approccio al territorio, autolesionista verso se stessi. Questione, comunque, che non è prassi esclusivamente afghana.

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