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lunedì 31 agosto 2020

Egitto, mani sulla primula rossa della Fratellanza


Al Cairo nel fine settimana i servizi di sicurezza egiziani hanno messo le mani sulla “primula rossa” della Fratellanza Musulmana finora sfuggita agli arresti. E’ Mahmoud Ezzat, 76 anni, che nel gruppo aveva rimpiazzato Mohammed Badie dopo la sua cattura avvenuta nelle settimane seguenti la grande repressione dell’estate 2013. Sebbene Ezzat fosse noto, e nonostante il radicato sistema di controllo e spionaggio incrementato negli anni dal generale al Sisi, l’ultimo leader della Confraternita è rimasto a lungo latitante. Si era ventilata una sua fuga all’estero, si pensava in Turchia, dove alcuni Fratelli musulmani ripararono nelle prime fasi dell’escalation militare golpista, godendo della protezione del governo dell’Akp. L’uomo viveva blindato in pieno centro della capitale, in una zona esclusiva, vicino all’Università Americana, probabilmente aiutato da un manipolo di fedelissimi. Oppure il regime sapeva e l'ha tenuto nel mirino, valutando quando catturarlo. Durante l’irruzione nell’appartamento-rifugio gli agenti della Sicurezza Nazionale hanno trovato pc e telefoni mobili con cui l’uomo teneva contatti con membri della Brotherhood presenti in altri Paesi. Sulla sua testa pesano due condanne a morte per terrorismo, le stesse che avevano colpito altri capi dell’organizzazione (Morsi, Badie) che comunque erano state tramutate in ergastolo. Molte di queste sentenze sono state emanate in totale mancanza di prove, come ribadivano gli avvocati dei diritti che hanno difeso gli imputati prima d’essere essi stessi arrestati, nel clima di caccia all’oppositore lanciato dal 2014 dall’insediato presidente Sisi. Un clima che prosegue, s’è espanso andando a colpire qualsiasi cittadino si occupi di vicende interne oppure a esprimere non solo critiche ma anche semplici dubbi sull’operato governativo. Il ministero dell’Interno egiziano comunica che durante la perquisizione nell’appartamento di Ezzat sarebbero stati trovati documenti di un “piano distruttivo” predisposto dal medesimo. Chi studia i movimenti politici islamici egiziani afferma che durante tutta la militanza, iniziata negli anni Sessanta, Ezzat, ormai anziano, ha sempre sostenuto la giustezza d’una pratica non violenta. Anche davanti alla recrudescenza delle dure misure nasseriane, e dopo quando una parte dell’islamismo decideva di eliminare il presidente Sadat.  

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