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martedì 19 maggio 2020

Bin Salman, cuore di tenebra bloccato dal Coronavirus


Per i ventenni sauditi la "riforma" che cambia vita e costumi significa avere sotto gli occhi una trasformazione delle città dove, accanto alle moschee, al massimo esistevano negozi per i ceti medio-alti. Nei quattro anni di applicazione del programma ‘Vision 2030’, spinto a colpi d’innovazione forzata anche con l’uso della forza su parenti vicini e lontani, il principe Bin Salman ha dato una sterzata alla quotidianità e all’economia. Tantoché la gioventù locale può dire che se fino a ieri non c’era quasi nulla, ora c’è tutto. Inserendo nel tutto l’iper tecnologia, gli intrattenimenti sportivi, musicali, culturali, le donne al volante e i caffè dove ragazzi e ragazze possono incontrarsi, senza che quest’ultime vengano scortate dai maschi di famiglia. Sono cambiamenti, eccome. Ma attenzione, il wahhabismo che ha nutrito per decenni la dinastia Saud, orientando in senso conservatore l’Islam del Golfo e oltre in Golfo, non è affatto scomparso. Trangugia le variazioni d’una certa apparenza del vivere perché è in corso una mutazione degli stessi affari della petromonarchia che finanzia luoghi santi, pellegrinaggi, moschee e madrase dove il fondamentalismo wahhabita prospera e continua a predicare. A modo suo. Le concessioni al femminile sono la moneta di scambio che gli ulema fondamentalisti pagano al principe ‘visionario’ che vuole garantire un futuro a un’economia finora basata sulla rendita d’un unico bene: il petrolio. Proprio la pandemia in corso - che ha bloccato per tre mesi il mondo e rallentato a tal punto i movimenti da ridurre quasi a zero l’estrazione del greggio, facendo crollare il prezzo del barile - ha rappresentato l’ennesima conferma della necessità dell’emancipazione dal sistema di ‘Stato redditiere’ e della bontà del piano principesco. Progetti e investimenti mirati non a fare della penisola arabica un luogo di produzione sul modello asiatico, ma a guadagnare creando oasi per ricchi vacanzieri, approdi per uomini d’affari, un Paese aperto a incontri internazionali d’ogni tipo, persino mediatici. Un controsenso per una nazione dove la libertà di parola non è amata affatto.  
Ma sono proprio le contraddizioni il piatto forte di MBS, uomo che vuole mescolare tradizione e futurismo, privilegiando qua e là quel che conviene al suo potere senza una selezione dettata da regole ferree. Questa flessibilità piace ai molteplici partner, interessatissimi a fare affari con lui prim’ancora che con la dinastia. Attualmente ‘Vision 2030’ deve vedersela con gli effetti della pandemia Sars CoV2 che, imponendo il distanziamento, colpisce inesorabilmente eventi pubblici e turismo, due settori dove il principe riconvertiva i petrodollari. Poi ci sono design e costruzioni (basti pensare alla cattedrale nel deserto di Neom, la megacittà da 500 miliardi di dollari), bioteach, digitale, intrattenimento. Ma come s’è visto in questa fase se il circuito globale si ferma il giocattolo di MBS rischia di finire in pezzi. Già qualche analista intona il De profundis per il piano del principe. E sebbene nelle settimane d’infezione lo Stato saudita ha tutelato i dipendenti di sue grandi aziende come l’Aramco, pagando comunque stipendi e tenendo il personale in quarantena, questo particolare “welfare” non potrà durare. La crisi del greggio sta colpendo duramente le pur corpose casse saudite e pure la riconversione in atto subisce il blocco e pericolosi strascichi, tantoché i benefit offerti alla popolazione per carburanti ed energia elettrica dovranno diminuire. In più il governo triplica la tassa per beni e servizi facendola passare dal 5 al 15%, un fattore che potrà avere una ripercussione sulla popolarità di Bin Salman. Un uomo finora più amato che odiato. Ma sicuramente temuto da nemici e amici.  Il suo cuore di tenebra, implacabile verso ogni dissidenza, è testimoniato da incarcerazioni e condanne a morte ufficiali, accanto a quelle decise in ambienti celati dove può accadere di tutto, come la vicenda Khashoggi insegna.

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