Per i ventenni sauditi la "riforma" che cambia vita e costumi
significa avere sotto gli occhi una trasformazione delle città dove, accanto
alle moschee, al massimo esistevano negozi per i ceti medio-alti. Nei quattro
anni di applicazione del programma ‘Vision 2030’, spinto a colpi d’innovazione
forzata anche con l’uso della forza su parenti vicini e lontani, il principe
Bin Salman ha dato una sterzata alla quotidianità e all’economia. Tantoché la
gioventù locale può dire che se fino a ieri non c’era quasi nulla, ora c’è
tutto. Inserendo nel tutto l’iper tecnologia, gli intrattenimenti sportivi,
musicali, culturali, le donne al volante e i caffè dove ragazzi e ragazze
possono incontrarsi, senza che quest’ultime vengano scortate dai maschi di
famiglia. Sono cambiamenti, eccome. Ma attenzione, il wahhabismo che ha nutrito
per decenni la dinastia Saud, orientando in senso conservatore l’Islam del
Golfo e oltre in Golfo, non è affatto scomparso. Trangugia le variazioni d’una
certa apparenza del vivere perché è in corso una mutazione degli stessi affari
della petromonarchia che finanzia luoghi santi, pellegrinaggi, moschee e
madrase dove il fondamentalismo wahhabita prospera e continua a predicare. A
modo suo. Le concessioni al femminile sono la moneta di scambio che gli ulema fondamentalisti
pagano al principe ‘visionario’ che vuole garantire un futuro a un’economia finora
basata sulla rendita d’un unico bene: il petrolio. Proprio la pandemia in corso
- che ha bloccato per tre mesi il mondo e rallentato a tal punto i movimenti da
ridurre quasi a zero l’estrazione del greggio, facendo crollare il prezzo del
barile - ha rappresentato l’ennesima conferma della necessità dell’emancipazione
dal sistema di ‘Stato redditiere’ e della bontà del piano principesco. Progetti
e investimenti mirati non a fare della penisola arabica un luogo di produzione
sul modello asiatico, ma a guadagnare creando oasi per ricchi vacanzieri, approdi
per uomini d’affari, un Paese aperto a incontri internazionali d’ogni tipo, persino
mediatici. Un controsenso per una nazione dove la libertà di parola non è amata
affatto.
Ma sono proprio le contraddizioni il piatto forte di MBS,
uomo che vuole mescolare tradizione e futurismo, privilegiando qua e là quel
che conviene al suo potere senza una selezione dettata da regole ferree. Questa
flessibilità piace ai molteplici partner, interessatissimi a fare affari con lui
prim’ancora che con la dinastia. Attualmente ‘Vision 2030’ deve vedersela con
gli effetti della pandemia Sars CoV2 che, imponendo il distanziamento, colpisce
inesorabilmente eventi pubblici e turismo, due settori dove il principe
riconvertiva i petrodollari. Poi ci sono design e costruzioni (basti pensare
alla cattedrale nel deserto di Neom, la megacittà da 500 miliardi di dollari),
bioteach, digitale, intrattenimento. Ma come s’è visto in questa fase se il
circuito globale si ferma il giocattolo di MBS rischia di finire in pezzi. Già
qualche analista intona il De profundis per
il piano del principe. E sebbene nelle settimane d’infezione lo Stato saudita
ha tutelato i dipendenti di sue grandi aziende come l’Aramco, pagando comunque
stipendi e tenendo il personale in quarantena, questo particolare “welfare” non
potrà durare. La crisi del greggio sta colpendo duramente le pur corpose casse
saudite e pure la riconversione in atto subisce il blocco e pericolosi
strascichi, tantoché i benefit offerti alla popolazione per carburanti ed
energia elettrica dovranno diminuire. In più il governo triplica la tassa per
beni e servizi facendola passare dal 5 al 15%, un fattore che potrà avere una
ripercussione sulla popolarità di Bin Salman. Un uomo finora più amato che odiato.
Ma sicuramente temuto da nemici e amici.
Il suo cuore di tenebra, implacabile verso ogni dissidenza, è testimoniato
da incarcerazioni e condanne a morte ufficiali, accanto a quelle decise in ambienti
celati dove può accadere di tutto, come la vicenda Khashoggi insegna.
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