Non se n’è più parlato, ma venerdì dopo venerdì la gioventù
algerina e anche i meno giovani fra loro hanno continuato a riversarsi in
piazza e protestare contro un sistema che non sa trovare soluzioni alla crisi
che l’attanaglia. Lo scorso venerdì di orgoglio - il ventesimo - ha visto tanti
cittadini incontrarsi in un enorme centro commerciale della “Bianca”
colorandola coi drappi nazionali, i propri abiti, i veli, i cori di una
ribellione permanente, pacifica, testarda. Una rivolta, dopo la dipartita politica
di Abdelaziz Bouteflika avvenuta il 2 aprile scorso, contro la lobby militare
stretta attorno all’uomo che vuole salvare un sistema soggiogato alle stellette:
Ahmed Gaïd Salah. Settantanovenne, elemento della vecchia guardia che sta tenendo
in surplace un apparato che non sa dove andare, ma vuol tenere le mani sul
potere. L’ultima sua mossa consiste nell’incarcerare chi nei venerdì di
protesta scende in strada sventolando la bandiera nazionale che a suo dire
verrebbe oltraggiata, come se essa appartenesse solo agli apparati dello Stato.
Incurante del ridicolo e ricercatore di pretesti per lanciare colpi repressivi
il generale ha fatto fermare decine di ragazzi che appunto agitavano quegli
stendardi. Gli arresti sono stati effettuati da poliziotti, mentre a valutare
la condotta dei manifestanti saranno dei giudici che hanno risposto e dovranno
farlo seguendo un ordine considerato fuorilegge da maggioranza degli algerini.
La popolazione lo definisce fuorilegge non solo perché non si riconosce nel
ruolo che il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate s’è assegnato, ma perché
tutta la procedura attuata dai cascami del regime non è stata ratificata da
alcuna istituzione ed è assolutamente illegale.
Insomma, gli algerini reclamano la piena giurisdizione del
loro Paese, “Ridateci l’Algeria” è
uno degli slogan più ripetuto da settimane. Lo gridano in tanti, sebbene nelle
strade, com’è logico, scendano prevalentemente ragazzi del cosiddetto “Hirak”
(il Movimento) che poi sono poco meno della metà della gente d’Algeria. Le
statistiche indicano come il 45% della popolazione del Paese abbia un’età
inferiore ai 25 anni. Costoro ovviamente non hanno conosciuto i momenti
gloriosi della Liberazione, che proprio in questi giorni ha segnato il
cinquantasettesimo anniversario (5 luglio 1962). Né le repressioni di fine anni
Ottanta e soprattutto il decennio nero della guerra civile (1991-2002). Ma sono
ragazzi che studiano la Storia, sia per l’elevata scolarizzazione (un giovane
su quattro completa il percorso didattico), sia per la fierezza d’appartenere a
un popolo che ha duramente lottato per ottenere una libertà, seppure presto scippata
dai clan di potere. E questi due fattori rappresentano altrettanti problemi. Al
percorso di studi non seguono opportunità di lavoro, tantoché quella gioventù
vive la frustrazione della disoccupazione. Mentre la mancanza di occupazione è
accresciuta da una totale assenza di programmazione economica che per un
sessantennio ha lasciato la nazione avvinghiata al modello di “Stato redditiere”,
foraggiato dalle risorse energetiche del sottosuolo. La casta politica s’è
arricchita attorno a tale sistema che, però, non emancipa l’economia del Paese
e soprattutto non redistribuisce la ricchezza attraverso una diversificazione e
la creazione di posti di lavoro sia in settori produttivi sia nel terziario. I
sedicenti padri della patria hanno soffocato quest’ultima, togliendo per
decenni il presente ai concittadini e il futuro alle nuove generazioni.
L’attuale lotta è fra chi dice basta e chi vuole perpetuare lo scempio.
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