Muore, per un’intossicazione alimentare non sopportata dalla
vetusta età (92 anni), il camaleonte della politica tunisina Essebsi e nella
settimana di lutto nazionale è già un fremere d’ipotesi future. Il 15 settembre
è prevista l’elezione del successore, mentre per la prima settimana d’ottobre
erano state calendarizzate le consultazioni politiche alle quali potranno
partecipare decine e decine di formazioni dell’atomizzato panorama nazionale.
Fra quelle quotate per concrete possibilità di ricevere consensi e formare un
esecutivo o alleanze per esso c’è Nidaa Tounes, il partito del defunto Capo di
Stato, gruppo laico e sedicente di centro-sinistra come lo sono formazioni
liberiste sparse un po’ ovunque nel mondo. Quindi gli islamisti di Ennadha, che
sull’incendio delle primavere arabe avviato, nel dicembre 2010, dall’autodafé
dell’ambulante Mohamed Bouazizi, portarono la formazione al potere. Per tre
anni. Vissuti pericolosamente, e nonostante i consigli di moderazione dello
storico leader al Ghannouchi, finiti a scontare le accelerazioni estremiste
d’uno jihadismo interno, maculato nel 2013 dall’assassinio di due politici
progressisti: Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. L’indignazione popolare e le successive
scosse produssero il cambio di orientamento politico a Tunisi e dintorni, assediata
nel marzo 2015 dagli attacchi del jihadismo firmato Daesh, con l’attentato al
museo del Bardo che fece ventiquattro vittime.
Sulle paure del recente passato, la navigazione a vista
degli ultimi cinque anni rattoppati attorno alla figura d’un ottantasettenne
pragmatico ma non carismatico, l’irrisolutezza di problemi rimasti intonsi:
mancanza d’investimenti e disoccupazione stabilmente in doppia cifra (15% nazionale,
che triplica la percentuale se si parla di giovani fino ai 25 anni), vaghezza
politica, ora s’affaccia il classico partito d’ordine, formato mesi addietro da
ex militari. I seguaci di tal Mustafa Saheb-Ettabaa - omonimo d’un ministro
dell’Ottocento quando il Nord-africa maghrebino apparteneva all’Impero Ottomano
- è figlio d’un clan benestante che lo spedì a far carriera come ufficiale, un
percorso durato sino alla seconda metà degli anni Novanta. Quindi,
pensionamento anticipato come s’addice a tutti i militari del mondo, e
immersione nella sfera affaristica sino alla folgorazione della politica,
appunto nel 2011 all’alba del subbuglio della
nazione. Eppure la velleità d’esporsi in prima persona è recente, giunge
alla fine dell’anno scorso, quando assieme ad altri ex ufficiali fonda il
gruppo “Agissons pour la Tunisie”. Chi conosce Saheb-Ettabaa afferma che covava
quell’idea da tempo, però ora esce allo scoperto presentandosi all’agone che,
inevitabilmente, ripartirà nei prossimi mesi. Quello che l’ex ufficiale sottolinea
con dichiarazioni pubbliche ed interviste, una recente è stata rilasciata al
sito Sputnik, è la voglia d’ordine
che aleggia in alcuni strati della società tunisina. Sicuramente quella dei
gruppi affamatori della popolazione, passati attraverso le lobbies, cui egli
stesso appartiene, e quelle della politica incarnata dall’ex presidente Ben
Ali.
Tutt’uno coi potenti clan familiari, un nome per tutti: i
Trabelsi della consorte Leila. Accanto all’esempio di ulteriori satrapi mai
puniti dalla Storia e dal Fato, com’è il raìs egiziano Mubarak, questa
tipologia di dittatori arricchiti sulla pelle dei concittadini, riesce a
godersi i beni indebitamente accaparrati, anche perché nessun governo insediato
successivamente, nessun Tribunale Internazionale ha promosso azioni legali,
seppure su costoro pesino accuse di appropriazione indebita, frode ai beni
dello Stato, oltreché crimini come complicità per detenzioni, torture,
uccisioni e stragi di oppositori. Ben Ali, tanto per dire, è a Gedda, gode
della protezione dei Saud, senza che alcuna democrazia occidentale od orientale
eccepisca nulla. E in uno dei Paesi islamici mediterranei, con una popolazione
non così strabordante (11 milioni), ma bisognosissima tanto da continuare a
migrare, morire in mare e in più morire e far morire per la “guerra santa”, poiché
assieme al Marocco è uno dei terreni di reclutamento jihadista, nulla è
cambiato dai giorni della cacciata del presidente amico dell’internazionale
delle ruberie “socialiste”. E’ in quest’assenza di soluzioni, nel tirare a campare
degli umili senza speranza, nel riproporsi di partiti incapaci di elaborare
alternative, che gli affamatori rilanciano i travestimenti. Sostengono di lavorare per programmi inediti, ripropongono
solo vecchi privilegi che a lungo ne hanno favorito l’esistenza e provano a
occupare il vuoto di potere vagheggiando comandanti e disciplina a senso unico.
Una beffa per chi avrebbe bisogno di giustizia.
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