Nella commedia dei colloqui per la pace afghana, di
cui s’è recentemente concluso a Doha il settimo giro di giostra, erano presenti
bene in vista alcune rappresentanti della società civile del martoriato Paese
mediorientale. L’onnipresente Fawzia Koofi, Habiba Sarabi e alcune new entry: Asila
Wardak, Mary Akrami. La presenza di queste figure che ricoprono incarichi
ufficiali - Koofi nella Commissione per i diritti umani, Sarabi da vice
presidente delL’Alto Consiglio di pace, mentre Wardak è egualmente rappresentante
dell’Alto Consiglio di pace e Akrami dichiara di organizzare rifugi per donne
abusate - è stata posta sotto i riflettori sia dal gran cerimoniere del ciclo
d’incontri per parte statunitense Zalmay Khalilzad, sia dal sistema mediatico internazionale
tutto rivolto a esaltare il grande passo compiuto dai talebani nel
sottoscrivere una “road-map” che parla di diritti delle donne in campo
politico, sociale, economico, culturale. In realtà, nel testo firmato dalle
parti, c’è anche il passaggio che ricorda come tutto debba essere “conforme ai
valori islamici”. Chi mastica di geopolitica sa quanto gli stessi studenti
coranici ortodossi, cioè coloro che hanno accettato tale dialogo, interpretino
la Sh’aria secondo una lettura deobandi, dunque alquanto fondamentalista della
questione femminile. Però il realismo politico occidentale e il tatticismo
talebano hanno trovato un momento d’incontro, pur minacciato da continue rotture.
Ora, le ottimistiche previsioni sbandierate devono fare
i conti con chi conta davvero: i talib pakistani, cui il mullah Baradar, che
insieme a Stanikzai guidava la delegazione dei turbanti, dovrà riferire.
Ricordiamo a chi non lo sapesse che Baradar, rinchiuso nelle carceri di
Islamabad è stato fatto liberare nell’ottobre scorso direttamente dalla Cia
proprio per presenziare agli incontri di “pacificazione”. Che durante quasi
tutti i mesi della defatigante trattativa la pressione armata jihadista non sia
mai venuta meno, per mano di miliziani dissidenti ma c’è da pensare anche di
quelli ortodossi, è drammaticamente evidenziato dalla cronaca. Le vittime
civili continuano a essere causate da ogni parte, sebbene gli attentati
talebani e dello Stato islamico del Khorasan ne a mietono la maggior parte. E
mentre si dichiara che l’accordo definitivo è dietro l’angolo, i punti nodali
restano lontani, lontanissimi: il cessate il fuoco è solo auspicato e nulla s’è
deciso sul rituro delle truppe. Dunque quanto premeva rispettivamente a Stati
Uniti e taliban è ben lontano da venire. Delle presunte garanzie per le donne
afghane abbiamo detto in apertura, ma è bene che i commentatori nazionali ed
esteri prendano atto di quel che cittadini e attivisti afghani raccontano di
talune paladine del genere femminile che passano da esponenti della società
civile. In collaborazione con le militanti del Revolutionary Association Women
of Afghanistan il gruppo di lavoro italiano del Cisda raccoglie informazioni su
simili personaggi.
Finora molto s’è detto e scritto dei Signori della
guerra riciclati nientemeno come vicepresidenti già dai governi Karzai (Fahim, Khalili)
quindi da quello di Ghani (Dostum), ma non s’accendono i riflettori sull’ampio
sottobosco della politica presentata nella veste democratica e ahinoi
femminile. Nella viscosità dell’amministrazione corrotta che l’occupazione
occidentale ha ignorato, e in vari casi implementato, è stato costruito ad arte
un tessuto politico femminile che non è affatto quello che si vuol far credere.
La citata Fawzia Koofi è uno degli esempi più chiacchierati, ma non l’unico. Su
di lei la controinformazione di Rawa ha svelato attività illecite assieme al
clan familiare (la sorella Mariam e il cognato Noor Ahmad) legate al traffico
internazionale di oppio. Del resto gli stessi parenti di Hamid Karzai sono
stati implicati in simili operazioni mafiose, per le quali un fratello è stato
ucciso. Eppure non è accaduto nulla di eclatante né in loco né nei parlamenti
delle nazioni occupanti. Del resto ricoprire incarichi ufficiali, nascondersi
dietro il velo della democrazia assicura a taluni soggetti garanzie per
svolgere affari propri e assicurarli a sodali d’ogni risma, visto che taluni si
mostrano abili nel trasformismo. Habiba Sarabi ha pugnalato al cuore le
attiviste d’una ong, Hawca, tutt’ora impegnatissima nel fornire protezione e
rifugio a donne stuprate, maltrattate, minacciate di morte anche da mariti e
parenti. Lei ne faceva parte poi nel 2002, a seguito d’una nomina al Ministero
per gli Affari femminili ha girato le spalle al movimento delle donne
rapportandosi solo a Karzai e fondamentalisti. Oggi continua con Abdullah. Le
due storie potete leggerle sul sito dell’Osservatorio Afghanistan (https://www.osservatorioafghanistan.org/archivio-articoli/articoli-2015/1375-come-la-cooperazione-italiana-e-stata-imbrogliata-dalla-parlamentare-fawzia-koofi.html
Anche molti colleghi, quelli
che vogliono raccontare cosa davvero accade in Afghanistan, possono trarre vantaggio
da tali letture.
Nessun commento:
Posta un commento