E’ andata bene, benone oltre ogni speranza per il sindaco dei 18
giorni Ekrem İmamoğlu. Quanto gli era stato tolto da un Consiglio Elettorale
Supremo molto compiacente ai voleri del Sultano glielo restituisce l’odierno
voto popolare, con un cospicuo conforto. Stavolta il vantaggio sul candidato
dell’Akp Yıldırım, non è la manciata dei 13.000 voti del 31 marzo scorso, ma
700-750.000 preferenze in più che portano il distacco a ben otto lunghezze
percentuali: 53.69% per l’esponente repubblicano contro il 45.4% dell’ex
ministro islamista. E col ritorno forzato alle urne in tre mesi il sistema
erdoğaniano subisce un tonfo doppio, anche per la capziosità di questa
ripetizione: la parziale assenza di dipendenti pubblici fra gli addetti ai
seggi non s’era registrata solo nella metropoli sul Bosforo, ma anche altrove.
Però si è rivotato solo lì dove Erdoğan aveva avviato la sua
carriera politica, un luogo dove l’Akp dal 2001 faceva il bello e cattivo tempo,
e il cuore laico e multipolitico di tanti istanbulioti non ha più battuto per l’uomo
del destino. Sicuramente ci saranno state defezioni fra gli stessi elettori
islamici, anche se talune loro roccaforti cittadine (Fatih, Üsküdar) saranno
rimaste massivamente fedeli. Coi dati più precisi delle prossime ore potremo
meglio valutare l’orientamento cittadino.
Però la dichiarazione dello stesso Yıldırım, quando le proiezioni
cominciavano a essere confermate dai risultati: “Se noi continuiamo a commettere illeciti dovremo chiedere il perdono e
la benedizione di rivali e fratelli” risuonava sibillina e dovrà far meditare
i vertici d’un partito-regime che risulta sconfitto dopo 17 anni nella città
simbolo della Turchia d’ogni epoca. Probabilmente lo spostamento del voto verso
il sorriso di İmamoğlu, rispetto alla faccia mesta di Yıldırım, è dovuto non solo
alle sue mosse pacificatrici dei giorni scorsi. A un certo punto il sindaco
scippato, pur sostenendo che l’iniziativa del Consiglio Elettorale non
fosse corretta, ha mollato il ruolo fra il rivendicativo e il lamentoso e ha
parlato di nuove opportunità e di buoni auspici per la causa della democrazia
nella metropoli e nella nazione. Di più. E’ andato a trovare il presidente (che
nei giorni scorsi era rimasto defilato dalla contesa) e, senza alcuna boria,
sentendosi però certo d’un bis gli ha prospettato una collaborazione per quella
città tanto importante per chi ci vive, per il governo e per la Turchia intera.
Un passo astuto, al quale Erdoğan non poteva non tendere la mano. Di fatto chi
ha sparigliato le percentuali sul Corno d’Oro è stata la comunità kurda che
stavolta, almeno in parte ha votato, ovviamente contro Erdoğan.
Più che aderire all’invito astensionista rilanciato da
Öcalan, è passato il gesto tattico proposto da un altro recluso illustre: il
copresidente dell’Hdp Demirtaş. Un uomo che si batte per la causa kurda
praticando quella via parlamentare che molti successi aveva ottenuto sino a
tutto il 2015, quando Isis, repressione militare interna, arresti illegali
sostenuti da illazioni accusatorie e processuali hanno attaccato a fondo la
rete legale del proprio attivismo. Secondo il Sultano essa è un tutt’uno con quella
del Pkk e in base a tale teorema decine di parlamentari, accanto a migliaia di militanti sono finiti in galera negli ultimi tre anni. Nei commenti raccolti a
caldo da noti media quali Al Jazeera
c’è già chi pronostica futuri tempi bui per l’Akp. Il professor Esen, docente
di Relazioni Internazionali all’Università di Bilkent ha dichiarato all’emittente
che “Questo voto segna l’inizio della
fine per lo stile presidenziale in Turchia”. Eppure i molti anni di
presenza sulla scena nazionale ed estera dell’ex premier e ora presidente turco,
dicono altro. Indicando errori e fughe in avanti, ma al tempo stesso insperati recuperi e
stabilizzazioni socio-politiche. Però certi segnali nascono da prolusioni
inattese. E la sconfitta di oggi pesa molto, molto di più di quella di tre mesi
addietro. Forse Istanbul può risvegliare la nazione, perché “Chi prende Istanbul prende la Turchia”. Parole proprio del Sultano.
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