Alla fine non hanno retto neppure Fatih e Üsküdar. Anche quelle
moschee a cielo aperto che sono le strade dei due popolari quartieri che dalle
sponde europea e asiatica amoreggiano sul Bosforo hanno votato a maggioranza
per l’uomo nuovo dell’immensa metropoli turca. 49.51% a Fatih, 54.26% a Üsküdar
contro il 49.37% e il 44.80% presi da Yıldırım. L’Akp regge ampiamente solo in
qualche area (Esenler 61.03%, Arnavutköy 60.22%, Bagcilar 56.62%). Invece dove
pulsa il cuore giovanile, il turismo e le rivendite commerciali (Beşiktaş,
Kadiköy, Bakirköy) le percentuali sono scudisciate taglienti per il partito di
governo, e İmamoğlu trionfa con quote stratosferiche: 83.90%, 82.36% 79.33%.
Brividi sulla schiena del navigato Erdoğan che dovrà - e lo sa - rapportarsi al
nuovo orizzonte. Visto che altre elezioni
non sono previste sino al 2023, per starsene in sella tranquillo sino a
quella scadenza da lui tanto ambìta per via del centenario della Turchia
moderna che lo condurrà nella grande Storia al pari di Atatürk e finanche di
Solimano, dovrebbe ridimensionare le smanie di potere e strapotere. Abbassare i
toni polemici, il clima da guerra civile, le vendette e le divisioni
polarizzanti. Ci riuscirà? In molti casi gli avversari, che diventano nemici,
creano essi ulteriori percorsi di scontro, ma il Sultano direttamente o meno è protagonista di questo
processo.
Per ora ci sono stati i complimenti al nuovo sindaco e i
pronunciamenti di collaborazione di quest’ultimo che da semisconosciuto
s’appresta a lanciare la leadership nazionale nel partito repubblicano.
Ovviamente coi dovuti tempi. Alcuni politologi hanno avvicinato i due proprio
riguardo allo sviluppo di carriera. L’elezione di İmamoğlu somiglia per certi
versi a quella del primo Erdoğan che si prendeva una città dinamica dove la
politica degli anni Novanta non voleva lasciar spazio all’opposizione, in quel
caso islamista. Il desiderio di novità può smuovere quei turchi meno ideologizzati,
che guardano al giorno per giorno e al portafogli da riempire col lavoro e
svuotare con buone prospettive presenti e future. Quelle per un buon tratto
garantite dall’Akp e da almeno un biennio messe in discussione anche dalle
fluttuazioni politiche spregiudicate e personali dell’uomo che vuole essere
tutto. In queste ore, grazie alle buone maniere fra vincitori e sconfitti, i
mercati finanziari hanno offerto un po’ di tregua alla Banca nazionale e alla
malandata lira turca che ultimamente ha perduto l’8% sul dollaro statunitense. Un’incognita
addirittura maggiore di quella dei rapporti cordiali col maggior partito
d’opposizione riguarda ipotetiche scissioni interne all’Akp.
Dividere le forze sarebbe suicida, ma ciò che è accaduto
in questi anni a personaggi di primissimo piano: l’ex premier e presidente Gül,
l’ex ministro degli esteri Davotoğlu, il tecnocrate Babacan, tutti messi da
parte dalla strapotere erdoğaniano, da oggi non dovrebbe essere più possibile.
Per il suo futuro di governo, di partito e anche della sua funzione pubblica
Erdoğan dovrebbe ridimensionare il super Io che lo caratterizza da sempre. Però
una questione vitale è: quali personaggi di spessore può mostrare un partito
nell’ultimo quinquennio letteralmente fagocitato dal personalismo del capo? Pur
dotato di enorme fiuto tattico il Sultano s’è guadagnato l’epiteto proprio per
aver promosso solo ‘yes men’ e fidatissimi politici di clan e in qualche caso
parenti acquisiti. Ora – il gossip che neppure il Mıt riesce a tacitare – racconta
che Berat Albayrak piazzato alle Finanze per presunte competenze e per la
fidelizzazione con cui anni addietro avrebbe condotto operazioni finanziare
favorevoli ai tesoretti speculativi di quello che diventava suo suocero, sembra
essere in rotta col potente papà di sua moglie Esra. Motivo della contesa l’infedeltà
coniugale del genero, che un leader e uomo di mondo “può capire”, ma un padre
della patria islamico deve censurare. Per ora silenziato è da alcuni giorni il chiacchiericcio
del web che commentava le scappatelle erotiche del ministro con una turca
tutt’altro che casa e moschea: l’avvenente modella Özge Ulusoy.
Con un contorno neppure poetico come quello offerto dal
celebre triangolo amoroso Kemal-Füsun-Sibel dello splendido “Museo
dell’innocenza” di Orhan Pamuk. Ecco, forse nella Turchia che si prospetta per
i prossimi mesi dove, per attutire il colpo della perdita di Istanbul il
presidente dovrebbe attenuare la polarizzazione, proprio le menti libere degli
scrittori finiti nella macina della repressione contro tutto e tutti potranno
ricevere il conforto della tolleranza. Forse. I giornalisti molto meno, poiché
l’orgoglio del cuore laico di Istanbul difficilmente potrà creare un’enclave
nell’attuale ordinamento giuridico che nei tre anni della repressione anti-golpe
ha assimilato qualsiasi pensiero diverso da quello di Erdoğan ad attentato alla
sicurezza nazionale. Con conseguenti processi
e condanne. L’abbraccio festoso fra İmamoğlu e la folla dei suoi elettori è risultato
assai scenografico, come il suo ringraziamento: “Voi avete protetto la reputazione della democrazia nel nostro Paese”.
Bisognerà vedere cosa potranno fare per la democrazia a livello nazionale i
partiti d’opposizione grandi e piccoli. Qualche commentatore turco s’aspetta un
rimpasto governativo, soprattutto per tenere botta su politica economica ed
estera e non allargare al quadro istituzionale il ko tutt’altro che marginale
di ieri.
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