E’ qui che cercano di sopravvivere i sepolti vivi
nell’Egitto di al-Sisi. Tora, una decina di chilometri dal Cairo, sezione
al-Aqrab (lo scorpione), dove c’è di tutto, dai detenuti comuni, ai criminali
incalliti e, dopo il golpe bianco del luglio 2013, tanti politici d’ogni
levatura. Qui c’è il Gotha della Fratellanza Musulmana, dal presidente deposto
Mohamed Morsi, alla guida spirituale Muhammad Badi, e l’imprenditore islamista
Khayrat al-Shater. Scrittori come Ahmed
Nagi, attivisti noti e sconosciuti. Più si è sconosciuti più una sparizione, un
decesso diventano insignificanti. Nessuno cercherà quelle matricole, i nomi
risulteranno solo a familiari e amici, le cui rimostranze verranno scoraggiate
a suon di accuse peggiori: terrorismo su tutte. La legge sulla sicurezza
nazionale impedisce di fatto un percorso di conoscenza e verità se rivolto
contro militari, forze dell’ordine e qualsiasi ganglio dell’apparato repressivo
statale. Ne sanno qualcosa i legali che difendono gli interessi della famiglia
Regeni. Indagando sull’omicidio del ricercatore friulano, l’avvocato egiziano
Ibrahim Metwaly, è risultato da oltre un anno scomparso poi incarcerato e ora
non si sa. La legale italiana Alessandra Ballerini ha più volte ricordato la
frustrazione dei genitori di Giulio, e quante difficoltà hanno incontrato gli
stessi procuratore e vice Pignatone e Colaiocco sia nelle indagini svolte a
Roma, sia nelle trasferte compiute nella capitale egiziana.
Accanto a casi eclatanti e sanguinari, egualmente penose sono le
vicende che soffocano le vite di tanti giovani che finiscono intimoriti e
tenuti sospesi con arresti reiterati, minacce, pestaggi, rilasci tendenziosi e
costellati di pedinamenti, con lo scopo di far cadere nella rete poliziesca
loro amici, che possono essere accusati d’un non nulla e che avranno anch’essi
l’esistenza sottoposta al giogo d’una prostrazione ideale e morale, con
l’inframmezzo di quella fisica. Simile alla vicenda narrata alcuni giorni
addietro di Sayed Elmanse ce ne sono mille, mutano i nomi, ma il meccanismo si
ripete, perché il laboratorio della paura messo a punto dallo staff di Sisi
oltre a punire, divulga l’asfissìa del terrore. L’ossimoro è definirlo sicurezza.
Ciò che viene spacciato per ‘sicurezza del Paese’ contro oppositori politici,
infiltrati, spie, ovviamente giornalisti
interni e stranieri e legali dei diritti, è un senso di paura diffuso con le
esperienze che tanti giovani si trovano a vivere già da minorenni. Basta essere
per via, in qualche maidan o awha, incappare in una retata o peggio venire
fermati per sospetti di antagonismo o addirittura, peggio del peggio, per uno
sciopero, una protesta, fosse pure un semplice sit-in. Può accade quello che la
madre di Saad Mouhamed Saad racconta del figliolo.
In una calda serata dello scorso giugno il giovane era fermo
davanti a una palestra nella cittadina di Khanka, governatorato di Qalyubia nel
Basso Egitto. Viene circondato da un manipolo di uomini mascherati. Capisce che
si tratta d’una squadra della Sicurezza nazionale, lo prelevano, lo conducono
in una località a lui sconosciuta. Saad, oggi ventenne, non è nuovo a simili
trattamenti. Il primo arresto lo subì quattro anni fa, mentre camminava con un
gruppetto di amici. Allora venne accusato di manifestazione non autorizzata.
Una legge emanata durante il primo mandato di Sisi, poi resa ancor più
restrittiva, considera sedizioso un raggruppamento di cinque persone. Ovviamente
tutto resta a discrezione della potenziale accusa che viene diretta su chi si
vuole, poiché qualsiasi assembramento nel suq e nelle piazze potrebbe rientrare
in quella casistica. Per il raduno “sedizioso” Saad si fa sei mesi di galera,
sebbene non s’occupasse per nulla di politica. Una volta fuori subisce un sequestro,
si ritrova in un commissariato quindi davanti a un giudice che gli rifila due
anni di detenzione in base a un dossier poliziesco che l’accusava falsamente. Nei
primi giorni di prigione i secondini gli intimano d’inginocchiarsi al loro
cospetto. Lui si rifiuta e subisce di peggio: periodicamente gli mettono la
faccia nella latrina e lo umiliano. Ma in fondo è fortunato. Ad altri gli hanno
cercato l’anima a forza di botte.
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