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martedì 1 gennaio 2019

Cairo, Egitto: le stragi e l’oppressione della migliore gioventù


C’è un via vai da sabato scorso in alcuni obitori del Cairo. Un via vai di uomini e donne che scrutano cadaveri. Quattordici freddati nell’area denominata 6 Ottobre, che sorge a ovest della zona delle famose Piramidi dove s’è verificato l’attentato contro i turisti vietnamiti, sedici in un altro condominio sempre di Giza. Più la decina fatta fuori dalle forze speciali in una zona controllata del Sinai settentrionale. Rappresentano la risposta alla sfida che il jihadismo, o l’opposizione armata interna, lancia al regime per rimettere in difficoltà l’economia nazionale in un settore strategico come quello turistico. Sisi è stato tranciante: stroncare il terrorismo, sebbene quel refrain risuona da quando lui prese il potere ufficialmente con la prima elezione del maggio 2014. Ma il generale-presidente non è riuscito ad allontanare lo spettro di attentati che si sono ripetuti e costituiscono l’incognita con cui si misurano gli apparati di sicurezza. Quest’ultimi risultano efficienti nel perseguitare giovani e oppositori, molto meno nel prevenire attentati e cacciare i terroristi. Visto l’alto livello d’informatori di cui gli apparati si servono e la pratica di retribuire la delazione, secondo qualche osservatore, tutto ciò accade per scelta. Così fra la gente regnano paura e incertezza e le Forze armate possono perpetuare quell’emergenza perenne che sa di Stato d’assedio.

Il via vai negli obitori, serve a dare un nome ai presunti terroristi falciati dai colpi polizieschi nei giorni scorsi, in modo che lo Stato riesce a dare in pasto all’opinione pubblica la propria risposta efficiente in fatto di ordine. Ma all’associazione ‘Familiari di persone scomparse forzatamente’ c’è allarme, sono loro ad accertarsi che i corpi senza vita allineati in quest’ultima occasione non siano figli, fratelli, parenti di cui da mesi, o peggio da anni, non giungono più notizie. Se qualcuno dovesse riconoscere un morto, avrebbe la magra consolazione di ritrovare il proprio caro, passato per le armi dai mukhabarat con l’accusa di un’appartenenza terroristica. E’ già accaduto e il meccanismo si perpetua. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la caccia al jihadismo reale, che esiste in alcune zone, trovando peraltro proprio nella repressione estremizzata un terreno fertile per il reclutamento. Il pericolo per la popolazione interna e per i turisti è innegabile, ma da oltre quattro anni l’attenzione di Sisi e dei suoi collaboratori è volta a colpire gli oppositori politici interni d’ogni peso e colore, paragonando quest’ultimi a terroristi, invece di attaccare i veri terroristi. La storia di Sayed Elmanse, che narriamo di seguito, è solo una delle tante subìte da giovani egiziani, che ci auguriamo di non dover ritrovare nell’elenco di nemici dell’Egitto eliminati senza tanti scrupoli da ligi esecutori.

Oggi Elmanse ha 22 anni,  entra ed esce dalle galere da quando ne aveva 17. Apparteneva al ‘Movimento 6 aprile’, quindi al Dostour Party. Il primo impatto con la repressione è di quelli che lasciano i segni sulla pelle e nella psiche: mani legate, occhi bendati, scosse elettriche sui genitali e bastonate in più parti del corpo (il trattamento riservato a Giulio Regeni). Sayed finisce nella sezione giovanile del quartier generale di Maadi con l’accusa di attentato ai beni pubblici e privati dello Stato. La famiglia non riesce a seguire tutti i percorsi di detenzione: dentro e fuori stazioni di polizia, Dar El Salaam, Abdeen, Qasr El Aini e il carcere speciale di Tora.  La polizia l’accusa di essere: fratello musulmano, terrorista, di possedere e aver fatto uso di armi. La spirale della repressione, della quale fanno parte gli stessi magistrati che incriminano anche in assenza di prove e non fanno rispettare alcun diritto del recluso che, gli riserva, assieme alle torture, l’obbligo di marcire in celle fredde e umidissime, lerce e rischiose per la salute. Esistono notizie di giovani che contraggono malattie infettive da simili reclusioni. A simili denunce lanciate da familiari, ong locali e internazionali, il governo non risponde o rigetta le accuse parlando d’ingerenze e complotto contro la nazione da parte di forze straniere. Molti Paesi, fra cui le potenze mondiali statunitense e russa per interessi geopolitici ed economici, lasciano cadere qualsiasi grido d’allarme. Mentre i militari continuano a perseguitare la migliore gioventù d’Egitto.

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