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mercoledì 9 maggio 2018

Nucleare iraniano e il bullismo geopolitico


Quanto sia politica l’uscita bulla sul nucleare iraniano del presidente statunitense Trump sta nei commenti di tutti gli analisti pro e contro l’attuale inquilino della Casa Bianca. Che nel suo determinismo, pur segnato da mosse a sorpresa come quella che a breve lo porrà di fronte al nemico giurato di qualche mese addietro, l’omologo nordcoreano Kim, ha comunque una sua costanza: esasperare i confronti. Perché, affermano consiglieri e commentatori, “fare i duri paga”. Occorre valutare con quali duri. Ovviamente la geopolitica si serve oltre che di mosse a sorpresa, di molteplici tattiche, bluff compresi, sebbene scoprirsi finti duri può diventare un boomerang addirittura peggiore della più morbida diplomazia. Comunque nel contrasto a ogni costo di cui Trump si fa convinto interprete, c’è molto passato ideologico e strategico dell’America muscolare non solo repubblicana e tardo reganiana, ma della stessa componente democratica poiché anch’essa, quarant’anni addietro ‘carteriana’, mal digeriva la Rivoluzione islamica di Teheran e lo schiaffo dei 444 giorni d’occupazione della sua ambasciata. E tale ‘passato che non passa’ è presente nei risvolti che saranno l’immediata conseguenza dello strappo trumpiano nel Paese degli ayatollah, e lì assume le voci dei basij vecchi e nuovi.
Costoro, assieme al potente Partito dei pasdaran che con Ahmadinejad pensavano addirittura di fare a meno della tutela del clero, riprendono il centro della scena politica in questa fase offensiva del simbolo dell’Occidente. A ben poco serve la malleabilità di Francia, Gran Bretagna e Germania, gli altri pezzi occidentali dei 5+1 Paesi che avevano firmato il famoso accordo nel 2015, che si rendono disponibili a confermare il patto, lasciando isolata un’America che in fondo vuole star sola. L’andamento dei due anni trascorsi, pur consentendo a Teheran una ripresa nella produzione energetica ha comunque mostrato estreme difficoltà nell’agevolare la presenza di capitali stranieri, passo indispensabile per diversificare l’economia nazionale. All’Iran moderno sta stretta la tipologia di Stato redditiere incentrato prevalentemente nell’attività estrattiva e la cancellazione dell’embargo e dei veti finanziari internazionali doveva servire proprio a questo. Ma il potere del sorridente Obama non è stato pari alle presunte buone intenzioni, e l’arrivo di Trump ha esplicitato quello che di fatto i potentati della finanza mondiale intendono praticare con e oltre la sfera politica. Così in terra iraniana di dollari se ne son visti pochi e gli stessi canali di differenziazione economica tramite un vero boom turistico non sopperiscono ad altre carenze. E soffrono pure.
La promessa normalizzazione con cui Rohani ha lanciato due campagne elettorali, vincendole per conto della parte meno oltranzista del Paese, è una grande incompiuta se si guarda a ovest. E non certo per volontà del conservatorismo iraniano. Però l’intreccio che lega ideologia, economia e geostrategie continua ad avere nell’infuocato Medioriente occidentale in cui gli Usa ci stanno sempre meno, mentre ci stanno gli attuali suoi alleati più fedeli: Israele e Arabia Saudita, una piega significativa trasformatasi in piaga. Ai due amici di Washington le azioni, gli interessi, gli appetiti iraniani sui prosceni siriano, yemenita, libanese non vanno giù. Perché nutrono interessi e appetiti propri. Cosa che non giustifica taluni scempi che purtroppo ricadono sulle popolazioni civili, ma li spiega. Perciò l’arricchimento dell’uranio diventa l’ennesimo pretesto per regolare altre questioni, sebbene gli sviluppi di certe mosse presumono esasperazioni reali e fittizie. Nel rimescolamento degli equilibri nell’area accanto ai diretti interessati a un’egemonia regionale ci sono due grandi, firmatari dell’accordo stesso: Russia e Cina. La prima è già diventata alleato tattico e militare di Teheran sui fronti delle crisi siro-irachena e yemenita, la seconda può ampliare i punti d’incontro  economico con gli ayatollah. E il peso che avranno nelle scelte politiche iraniane il Partito dei pasdaran, le sue bonyad  e la nuova leva dei chierici conservatori sarà notevole.

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