Il giorno di Gerusalemme ha il ghigno del militare israeliano sul
volto dell’anziana velata che magari racconta quel che il giovane in divisa non
sa né vuol sapere, mentre sullo sfondo dell’istantanea una coppia (forse di
turisti) osserva con fare curioso e divertito. L’ennesima prova di forza voluta
da Netanyahu e fiancheggiata da Trump esalta lo strapotere coloniale di
Israele. Quello falsamente legale dell’esercito che da oltre cinquant’anni occupa
la città eterna, ponendo alle etnie e ai culti non ebraici il giogo della
propria supremazia. E quello palesemente illegale di migliaia di coloni gioiosi
che in questi giorni portano per via la soffocante protervia d’un razzismo
difeso con le armi. La prova di forza sottolinea la viltà della diplomazia
mondiale che su altre piazze e per altre tematiche fa e disfa, giungendo sino a conflitti combattuti o
minacciati, in genere per interesse
e tornaconto di potere economico
e geostrategico. Certo anche per la terra di Palestina, usurpata e scippata, le
guerre e le trattative non sono mancate. Molte si trascinano tuttora, in
maniera assolutamente impari, visto lo stillicidio di vittime subìto
periodicamente dai palestinesi, quando protestano e quando semplicemente lavorano
o provano a farlo fra mille difficoltà. Che poi sono le quotidiane ingiustizie
con cui il sistema sionista, che ha totalmente virato verso il razzismo
dell’apartheid, intossica l’esistenza di chi resiste a vivere su quella terra.
Tutto accade nella diffusa indifferenza di quegli orgasmi della
comunità internazionale, dimostratisi sempre più inefficaci verso le
imposizioni di chi, come Israele, fa della violenza camuffata da difesa un
pilastro della sua esistenza. E per ogni obiezione insinua l’accusa di
antisemitismo, orientandola fuori luogo verso chi afferma ben altro. La gente
di Palestina da settant’anni non ha più patria e terra e la difesa di questi
princìpi, che Israele rivendica per sé e per centinaia di migliaia di ebrei
riuniti in quei luoghi, viene negata alle famiglie arabe che ne furono e
continuano a essere cacciate. Gli accordi di Oslo che prevedevano la nascita
della cosiddetta Cisgiordania come nazione palestinese si sono trasformati da
trappola in beffa per come e quanto sono raggirati dalla pratica
dell’insediamento dei coloni imposto con la forza di Tsahal. La stessa
convivenza conservata nella Gerusalemme-Al Quds è demonizzata. Eppure, come
sostengono degli attivisti palestinesi intervistati dall’emittente Al Jazeera, e in queste ore in
agitazione per l’apertura dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, non è
neppure quest’ultimo evento l’aspetto più dannoso per la loro causa. “Quel che ci danneggia – dicono – è l’israelificazione della società,
l’azzeramento della nostra presenza con l’abbattimento di case, l’espulsione
della nostra gente, i raid dei coloni davanti la Moschea di Al-Aqsa”.
La dimostrazione di esistenze vigilate e imposte anche fuori da
zone assurte a esempio di vita incarcerata, com’è la Striscia di Gaza, c’è in
questi momenti nel quartiere arabo di Al Quds, dove i residenti sono
impossibilitati a uscire perché l’esercito d’Israele non ammette altra voce che
quella degli abitanti ebraici e dei coloni giunti dai Territori Occupati per
festeggiare il settantennio del proprio Stato. I palestinesi promettono
comunque d’essere in strada nel pomeriggio, quando ci sarà la cerimoni
d’inaugurazione dell’ambasciata Usa, anche a costo di subire arresti e
violenze. Sarà un risvolto probabile per le elevatissime misure di sicurezza
approntate dai reparti speciali a protezione degli ospiti di lusso: la
delegazione guidata dalla figlia del presidente Ivanka e dal marito
Kushner. il rampante rampollo d’un clan
potentissimo della lobby ebraica d’Oltreoceano. Esempio lampante di come nel
passo del presidente americano c’entrino legami e affari privatissimi. Le
proteste, la repressione e il solito sanguinario epilogo sono in atto da
stamane nella travagliata Striscia che da settimane vede mobilitata e colpita la
locale comunità. I morti registrati finora sono diciotto, quasi duecento i feriti, quasi
tutti colpiti dai cecchini. Una sequenza che si ripete e ha come unico sbocco
la scelta di finire crivellati senza che nulla accada. Un destino diventato più
che tragico, ottusamente funereo, ma che ci rende tutti inesorabilmente
colpevoli.
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