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martedì 13 febbraio 2018

Eni, il Mediterraneo e la battaglia del gas


Fra i temi trattati en passant nella visita lampo compiuta recentemente a Roma, più per incontrare papa Francesco che Mattarella e Gentiloni, il presidente turco Erdoğan aveva speso qualche manciata di secondi per annunciare al nostro Capo di Stato che le esplorazioni Eni a favore di Cipro nell’ambito della Zona Economica Esclusiva concessa al governo di Nicosia, non erano gradite a Lefkoşa ed Ankara. Da chi usa la geopolitica in maniera cinica e sconsiderata (seppure non da solo) non si può rimanere sorpresi che all’avviso siano seguite mosse muscolari, peraltro usuali nella cupa agenda erdoğaniana. Così da giorni la nave di perforazione Saipem trova la strada sbarrata da fregate turche che svolgono addestramenti militari volti a bloccare il passaggio della struttura di ricerca dell’Eni. La mai risolta questione di Cipro-Nord nell’ultimo decennio s’è trascinata sia la controversia delle ZEE (che sanciscono i diritti sovrani di uno Stato per utilizzare coste, tratti di mare, risorse naturali sottostanti) che vede coinvolte e interessate Cipro, Libano, Israele, Egitto a vari depositi di gas presenti nei fondali del Mediterraneo orientale. Stesso diritto ha la Striscia di Gaza, ma il suo legittimo governo rappresentato da Hamas viene bollato di ‘terrorismo’ e tenuto fuori dall’utilizzo di una risorsa che potrebbe risollevare le sorti economiche dei palestinesi lì residenti.

Oltre ai due più grandi giacimenti scoperti sui fondali di Levante: Zohr (850 miliardi di metri cubi di gas) prospiciente le coste egiziane, Leviathan (600 miliardi di metri cubi) davanti a Israele (ribadiamo: la Striscia di Gaza è fra le due nazioni e ha diritti su una fetta dei due bacini), c’è il cipriota Aphrodite (300 miliardi di metri cubi). La scoperta è allettante per i Paesi coinvolti e interessante per l’Europa che avrebbe a disposizione nuovi mercati energetici per alternarli a quelli noti (Russia e Algeria) diventati particolarmente onerosi. Un ruolo centrale in questa frontiera energetica lo gioca l’Eni, che per esperienza, tecnologia, politica e diplomazia d’ogni genere, acquisite in decenni di presenza su ogni terreno della geografia energetico-politica fa da catalizzatore anche per i progetti di distribuzione di quel gas (la conduttura sottomarina East-Med verso Creta, Grecia e Italia, Arab pipeline dall’Egitto verso Giordania e Siria, Egypt pipeline con successivo trasporto via mare da Port Said). Copre il terreno della ricerca sottomarina, com’è nel caso attualmente in questione con la nave da scandaglio Saipem che dovrebbe ricercare ulteriore sacche di gas nel così definito blocco 6 di Aphrodite. E soprattutto agisce da gran cerimoniere diplomatico per le componenti attirate, direttamente e indirettamente.

In questa partita geoenergetica compaiono attori interessati a questa e agli sviluppi dell’area, che da anni sta drammaticamente colpendo la popolazione siriana. Russia e Turchia ne sono pesantemente coinvolte. Mosca è una protettrice del governo di Nicosia, che pur entrata nell’Unione Europea costituisce, come Malta, un paradiso bancario off-shore per attività lecite e illecite in cui sono impegnati imprenditori russi. Ovviamente questi non sono gli unici, ma risultano numerosi. Alla Russia, agli affari di Gazprom, però non conviene incentivare uno sviluppo distributivo del gas cipriota, di cui Cipro-Nord, dunque la Turchia di Erdoğan, vorrebbe condividere con Nicosia i vantaggi. Secondo i turco-ciprioti anche il proprio governo (riconosciuto solo da Ankara) dovrebbe trarre beneficio dal bacino Aphrodite tramite una propria ZEE. Oppure avviare un’unificazione dell’isola, cui si continua a opporre la comunità maggioritaria greco-cipriota. L’ipotesi d’una Cipro unita è perorata da Israele, che mira ad appianare le rivalità sull’isola, sostenendo che entrambe i gruppi etnici ne trarrebbero vantaggi economici. Israele è intenzionato soprattutto a lanciare il business energetico verso il vecchio continente, aprendo sia al gas proveniente dalla cipriota Aphrodite, sia al proprio del Leviathan, tutto viaggiante verso nord attraverso la conduttura East-Med.

L’Eni veste i panni di un ministero degli Esteri sul campo, e pur interessato a trarre massimi profitti da consulenze e joint-venture in ogni zona economica dell’enorme Hub del gas (una conferenza internazionale tenuta lo scorso anno definì il Mediterraneo ‘il mare del gas’) non vuole scontentare gli attori interessati agli sviluppi del grande affare di geopolitica dell’energia. In primo luogo la Russia, poiché il progetto South Stream atto a condurre il gas siberiano verso sud aggirando l’Ucraina, è un piano particolarmente lucroso per Eni e Gazprom. A questo Erdoğan e Putin avevano creato l’alternativa del Turkish Stream, congelato per un periodo ma che ha ripreso quota anche in relazione alla collaborazione fra i due presidenti sullo scacchiere mediorientale siriano. Come mostra la questione di Cipro, non è facile accontentare tutti se e quando interessi economici entrano in contrasto con vicende politiche. E sempre più quest’ultime coinvolgono ulteriori terreni in cui diritti, umanità, etica  passano in second’ordine di fronte alla ragione di Stato o peggio alla logica del profitto. Per intrighi internazionali in cui si chiede giustizia - l’omicidio Regeni, tanto per tornare su un tema dibattuto - proprio il ruolo dell’azienda del “cane a sei zampe” nel giacimento Zohr e gli affari italiani in uno Stato torturatore e assassino avrebbero bisogno di chiarezza e non dell’omertà della politica. Al Cairo come a Roma. E’ l’unica promessa che i contendenti del 4 marzo non fanno agli elettori.

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