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giovedì 11 gennaio 2018

Regeni, il mistero alla luce del sole


Questione giudiziaria - Diventata questione meramente giudiziaria, ovviamente lo è vista la cruenta e crudele morte cui è stato sottoposto Giulio Regeni, l’accidentato cammino della verità tutta politica sulla sua morte trova un’ennesima tappa d’indagine: la tutor omertosa. Egiziana trapianta a Cambridge, la professoressa, Maha Abdel Rahman ha dopo circa due anni di dinieghi (il ricercatore assassinato fu rapito il 25 gennaio 2016) ha deciso di rispondere al pubblico ministero italiano Colaiocco che s’è recato in Inghilterra a interrogarla. Rispondere per modo di dire. Lei non si è più negata, ma ha messo in fila la classica serie di “non ricordo” e vaghezze varie, tipiche di testimoni che evitano di collaborare con gli organi preposti alle indagini. Cosicché le sono stati sequestrati computer e ogni altro possibile contenitore di dati sensibili presenti nella stanza che la ospita nella prestigiosa università dove insegna. In quegli apparati elettronici lo staff di esperti informatici che collabora con Colaiocco cercherà tracce sul tema attinente alla ricerca del dottorato: i sindacati autonomi egiziani. Argomento che la prof nega di aver mai assegnato a Regeni, e che la di lui madre Paola sostiene, invece, sia stato commissionato dall’Università. Glielo aveva rivelato in una telefonata il figlio stesso.
Servizi segreti - Che quella ricerca, accademica, fosse attenzionata dai servizi segreti egiziani sembra un’esagerazione. Potrebbe esserlo meno se, come tempo addietro qualcuno ipotizzò, la documentazione poteva venire utilizzata dall’Intelligence britannica, per quei rapporti che la stessa crea con centri di studio compiacenti. Cosa che fa saltare i gangheri a quei  docenti di tutto il mondo, che appunto presiedono studi, siano essi sociali e geopolitici, ma non fanno le spie. Tesi, altresì, confutata con sdegno dai familiari del giovane assassinato che ricordano come l’etica del figlio, rivolta esclusivamente allo studio, non sfiorasse neppure l’idea di acconsentire a un uso diverso degli studi medesimi. Purtroppo le Intelligence di tutto il mondo, e d’ogni epoca, non hanno scrupoli, e Regeni si sarebbe potuto trovare, a sua totale insaputa, dentro un ingranaggio di quel tipo. Ma quel punto avrebbe senso stanare non solo l’omertosa professoressa Abdel Raham, ma l’omertosa Cambridge che si presta al triangolo fornendo materiale ai propri 007. Però, per uscire da quella che finisce d’apparire una trama di Ian Fleming, dovrebbe essere ripresa l’altra via, che non compete agli inquirenti, bensì ai latitanti politici nostrani. Diciamo ripresa per moto ideale, perché volevamo fosse percorsa dal tragico 3 febbraio 2016, quando il corpo dello studioso friulano fu ritrovato straziato, violato, sfruttato lungo una delle caotiche arterie di scorrimento che circondano Il Cairo.
Questione politica - L’allora premier Renzi e il successore e collega di partito Gentiloni, che all’epoca del misfatto ricopriva l’incarico al dicastero degli Esteri, fecero solo la manfrina di ritirare l’ambasciatore italiano in Egitto. Dopo Massari che rientrò a Roma, nel Ferragosto 2017 Giampaolo Cantini andò a rioccupare la sede italiana al Cairo, un segnale distensivo verso un Paese che su quell’omicidio aveva evitato ogni collaborazione; e mostrava oltre le contraddizioni di diversi apparati repressivi, un pervicace impegno di depistaggio offrendo due, tre, cinque versioni di fatti, moventi, tutti a carico della vittima o inventando mendaci fatalità. S’è detto che la riapertura dei rapporti fra i due Paesi serviva alle reciproche economie, assai legate negli affari. Serviva pure una ricollaborazione sul versante “sicurezza”, sia quello imposto dalla geopolitica statunitense che influenza Roma come influenza Il Cairo, sia l’angoscioso tema immigrazione che, pur vedendo nel mar libico il centro del flusso degli sbarchi, trova nella cooperazione a 360° del generale Al Sisi un attore non secondario. La real politik chiede di non ostacolare al Sisi e di tenerselo buono per varie ragioni: lotta all’Isis, rapporti con Israele, coalizione conservatrice filoccidentale che riunisce lui, il generale Haftar, le petromonarchie. Ma è Al Sisi, il suo apparato repressivo basato sulla paranoia e il consenso estirpato con la paura, che dovrebbero rispondere dell’omicidio di Giulio Regeni. E non accade.  

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