Questione giudiziaria - Diventata questione meramente giudiziaria,
ovviamente lo è vista la cruenta e crudele morte cui è stato sottoposto Giulio
Regeni, l’accidentato cammino della verità tutta politica sulla sua morte trova
un’ennesima tappa d’indagine: la tutor omertosa. Egiziana trapianta a
Cambridge, la professoressa, Maha Abdel Rahman ha dopo circa due anni di
dinieghi (il ricercatore assassinato fu rapito il 25 gennaio 2016) ha deciso di
rispondere al pubblico ministero italiano Colaiocco che s’è recato in
Inghilterra a interrogarla. Rispondere per modo di dire. Lei non si è più
negata, ma ha messo in fila la classica serie di “non ricordo” e vaghezze
varie, tipiche di testimoni che evitano di collaborare con gli organi preposti
alle indagini. Cosicché le sono stati sequestrati computer e ogni altro
possibile contenitore di dati sensibili presenti nella stanza che la ospita
nella prestigiosa università dove insegna. In quegli apparati elettronici lo
staff di esperti informatici che collabora con Colaiocco cercherà tracce sul
tema attinente alla ricerca del dottorato: i sindacati autonomi egiziani. Argomento
che la prof nega di aver mai assegnato a Regeni, e che la di lui madre Paola
sostiene, invece, sia stato commissionato dall’Università. Glielo aveva
rivelato in una telefonata il figlio stesso.
Servizi segreti - Che quella ricerca, accademica, fosse
attenzionata dai servizi segreti egiziani sembra un’esagerazione. Potrebbe
esserlo meno se, come tempo addietro qualcuno ipotizzò, la documentazione
poteva venire utilizzata dall’Intelligence britannica, per quei rapporti che la
stessa crea con centri di studio compiacenti. Cosa che fa saltare i gangheri a quei
docenti di tutto il mondo, che appunto
presiedono studi, siano essi sociali e geopolitici, ma non fanno le spie. Tesi,
altresì, confutata con sdegno dai familiari del giovane assassinato che ricordano
come l’etica del figlio, rivolta esclusivamente allo studio, non sfiorasse
neppure l’idea di acconsentire a un uso diverso degli studi medesimi. Purtroppo
le Intelligence di tutto il mondo, e d’ogni epoca, non hanno scrupoli, e Regeni
si sarebbe potuto trovare, a sua totale insaputa, dentro un ingranaggio di quel
tipo. Ma quel punto avrebbe senso stanare non solo l’omertosa professoressa
Abdel Raham, ma l’omertosa Cambridge che si presta al triangolo fornendo
materiale ai propri 007. Però, per uscire da quella che finisce d’apparire una
trama di Ian Fleming, dovrebbe essere ripresa l’altra via, che non compete agli
inquirenti, bensì ai latitanti politici nostrani. Diciamo ripresa per moto
ideale, perché volevamo fosse percorsa dal tragico 3 febbraio 2016, quando il
corpo dello studioso friulano fu ritrovato straziato, violato, sfruttato lungo
una delle caotiche arterie di scorrimento che circondano Il Cairo.
Questione politica - L’allora premier Renzi e il successore e collega
di partito Gentiloni, che all’epoca del misfatto ricopriva l’incarico al
dicastero degli Esteri, fecero solo la manfrina di ritirare l’ambasciatore
italiano in Egitto. Dopo Massari che rientrò a Roma, nel Ferragosto 2017
Giampaolo Cantini andò a rioccupare la sede italiana al Cairo, un segnale
distensivo verso un Paese che su quell’omicidio aveva evitato ogni
collaborazione; e mostrava oltre le contraddizioni di diversi apparati
repressivi, un pervicace impegno di depistaggio offrendo due, tre, cinque
versioni di fatti, moventi, tutti a carico della vittima o inventando mendaci
fatalità. S’è detto che la riapertura dei rapporti fra i due Paesi serviva alle
reciproche economie, assai legate negli affari. Serviva pure una
ricollaborazione sul versante “sicurezza”, sia quello imposto dalla geopolitica
statunitense che influenza Roma come influenza Il Cairo, sia l’angoscioso tema
immigrazione che, pur vedendo nel mar libico il centro del flusso degli
sbarchi, trova nella cooperazione a 360° del generale Al Sisi un attore non
secondario. La real politik chiede di non ostacolare al Sisi e di tenerselo
buono per varie ragioni: lotta all’Isis, rapporti con Israele, coalizione
conservatrice filoccidentale che riunisce lui, il generale Haftar, le
petromonarchie. Ma è Al Sisi, il suo apparato repressivo basato sulla paranoia
e il consenso estirpato con la paura, che dovrebbero rispondere dell’omicidio
di Giulio Regeni. E non accade.
Nessun commento:
Posta un commento