Il terrorismo jihadista
arriva a Teheran. Quel che non era accaduto si è verificato stamane con un
duplice attacco in due luoghi simbolo: il Parlamento e il Mausoleo
dell’ayatollah Khomeini. Un commando di tre persone armate di khalashnikov, ha
colpito e ucciso una guardia nel palazzo del Majlis. Si registrano alcuni
feriti fra militari e funzionari. Gli assalitori tengono in ostaggio un gruppo
di persone mentre l’intera area è circondata da polizia e reparti dell’esercito.
In contemporanea nella zona sud della capitale, al Mausoleo di Khomeini posto
lungo la via dell’aeroporto internazionale, un uomo s’è fatto esplodere senza
provocare vittime. Il luogo è di solito frequentatissimo, tre giorni fa
ricorreva l’anniversario della morte del padre della Rivoluzione Iraniana e
decine di migliaia di cittadini si erano recate nella moschea, un’area dove sorgono
anche due hotel e un parco giochi per bambini. Fortunatamente nell’ora
mattutina dell’assalto non c’era la solita moltitudine, un lancio dell’agenzia Fars parla, comunque, di alcuni feriti.
Sembra che due membri del commando cui apparteneva il kamikaze siano riusciti a
fuggire, mentre è stata fermata una donna. Non c’è stata finora alcuna
rivendicazione, sebbene stile e finalità degli assalti rientrino nella prassi
jihadista.
Il bilancio delle vittime s’appesantisce: sono
dieci le guardie del Majlis a essere cadute sotto il fuoco degli assalitori, un
fuoco fitto i cui schiocchi sonori sono stati trasmessi da alcuni media.
L’attacco in sé era inatteso, nonostante la tensione internazionale cresciuta
negli ultimi giorni attorno alla vicenda dello scontro in seno al Consiglio
della Cooperazione del Golfo, con le dinastie Saud e Al-Thani ai ferri corti
proprio per presunti apprezzamenti pro iraniani dell’emiro qatarino.
Attualmente, nonostante l’intera area del Parlamento che sorge in una zona
centrale di Teheran sia completamente circondata da militari e reparti speciali
di Pasdaran, alcuni dei quali sono nell’edificio istituzionale, quel che resta
del commando è ancora asserragliato all’interno e tiene sotto tiro quattro
ostaggi. Mentre anche lì un kamikaze s’è fatto esplodere, l’agenzia Reuters ha mostrato due immagini: nella
prima uno dei miliziani si affaccia e guarda fuori sempre imbracciando l’Ak 47,
nella seconda lo stesso miliziano tiene sotto tiro un uomo che all’esterno
recupera un bambino che gli viene porto da una finestra, probabilmente da un
altro membro del commando. Un gesto inedito per uomini del terrore. Una nota
del Ministero della Sicurezza iraniana ha affermato che stamane gli attacchi
previsti nella capitale erano tre: uno è stato preventivamente sventato, pare
si trattasse di un paio di autobomba che sono state intercettate.
Gli altri due che sono invece andati a segno.
L’Intelligence interna, che come simili strutture nel mondo mostra di non poter
filtrare tutto, ha comunque dichiarato di avere bloccato nei mesi scorsi decine
di possibili attentati. Dunque il Paese non era affatto tranquillo come
sembrava, sebbene da tempo non subisse le attenzioni distruttive del
terrorismo. Il maggiore assalto s’era svolto nella zona meridionale del
Baluchistan, provincia dove agiscono gruppi talebani, era il 2010 e le vittime
furono 39. Poi si ricordano le uccisioni di alcuni scienziati e ingegneri
legati al progetto nucleare che subìrono rocambolesche aggressioni con ordigni
esplosivi collocati su moto e auto. Si parlò di opera del Mossad o della Cia,
certamente il Vevak non mostrò un’efficienza e soprattutto quella prevenzione
che una nazione assediata dall’embargo s’aspettava durante la presidenza del
basij Ahmadinejad. Certo l’articolazione
degli agguati odierni, che risultano rivendicati dall’Isis, evidenziano un
piano d’azione meditato e preparato da tempo. Gli uomini armati che sparano e
si fanno saltare in aria non sono lupi solitari bensì elementi addestrati,
occorre vedere se combattenti stranieri filtrati dalle aree sensibili, il
citato Baluchistan a sud-est o l’area nord-occidentale dove agisce una
guerriglia kurda che qui non è organizzata come altrove. Oppure sono soggetti
entranti con quel turismo che da un anno a questa parte ha avuto una sensibile
ripresa, seppure le maglie dei controlli risultano copiosi e vigili.
Potrebbe addirittura trattarsi di iraniani
dissidenti, non tanto coloro che comunque praticano un’opposizione interna e
che hanno dato vita a contestazioni non certo armate, ma chi covando odio verso
il sistema degli ayatollah presterebbe il fianco a simili disegni. Congetture a
parte, che potranno ricevere maggiore chiarezza conoscendo l’identità degli
attentatori uccisi e di quelli fermati (finora il Daesh ha sempre armato la
mano di sunniti proprio per rafforzare il proprio progetto ideologico d’attacco
agli infedeli cristiani e agli eretici sciiti) resta incontrovertibile la
realtà di un piano preordinato con riflessi internazionali e interni. Il Paese
era appena uscito da una consultazione elettorale accesa e partecipatissima che
aveva rafforzato la linea moderata di Rohani e del suo staff in cui il ministro
degli Esteri Zarif rappresenta una delle figure di spicco. Questa componente
eredita il pragmatismo conosciuto con Rafsanjani, non rompe con la tradizione e
il sistema clericale, ma garantisce spazio al laicità in politica e nella
società. Tiene in considerazione i mercati e tende a restituire all’economia
quella ripresa di cui la nazione necessita, una linea benvista dalla popolazione
che ha ridato fiato alla speranza già espressa nel 2013. Eppure i conservatori
non mollano.
Pochi giorni fa il dibattito parlamentare ha
riproposto le accuse di vaghezza e vacuità della linea internazionale iraniana
che gli avvenimenti di questi giorni e di queste ore possono solo incrudire. I
falchi del partito dei Pasdaran, che presentavano la candidatura alla
presidenza del sindaco uscente di Teheran Qalibaf orientantosi poi per
l’appoggio al chierico conservatore Raisi, mirano a rilanciare una linea dura
verso gli Stati Uniti. Questi in pochi mesi con Trump hanno rinnegato l’accordo
sul nucleare, studiano provocazioni col bando ai musulmani, rilanciano un
rapporto privilegiato d’alleanza con l’Arabia Saudita riempiendola con 110
miliardi di armamenti, osservano in silenzio la dinastia amica proporre e
ottenere l’isolamento del Qatar che con l’Iran sta accordandosi per lo
sfruttamento comune d’un mega bacino di gas sotto le acque del Golfo.
L’abbraccio del presidente americano ai sauditi, sancito anche dalla
folkloristica danza delle spade, è l’avallo della partecipazione aggressiva a
talune crisi mediorientali in corso. La guerra in Yemen, seguìta a quella
civile siriana, vede impegnati su fronti opposti e per interposti combattenti
Riyad e Teheran. Ciascuno accusa l’altro d’ingerenza, mentre su vari terreni di
scontro resta aperto il conflitto etnico-religioso fra sunnismo e sciismo.
Sebbene Pasdaran e reparti scelti iraniani siano da anni impegnati in terra
siriana, ora un rafforzamento della presenza militare iraniana in aree
d’interesse, sostenuta principalmente dai conservatori, può trovare pieno appoggio
anche nella maggioranza di governo.
Nessun iraniano è sordo all’idea della difesa
nazionale ora che due luoghi simbolo del Paese, che non ha mai perso il senso
dello stato d’assedio attuato dall’Occidente, sono stati violati. Perché, come
da tempo più voci sottolineano, il disegno autoctono del Califfato è comunque
alimentato da forze esterne. Potenze mondiali e locali, oltre ovviamente a
Intelligence e reparti dell’addestramento a ogni sorta di guerra. I lupi
solitari, il reclutamento di kamikaze che esistono e s’adattano a un filone ben
radicato nella stessa lotta di liberazione di popolazioni oppresse, sono solo
una delle facce dello scontro in atto che ridisegna il Medioriente e che può
durare decenni. Poiché vede nazioni occidentali o orientali divise fra scelte
guerrafondaie che producono guadagni diretti e indiretti sui conflitti e chi
per impotenza politica e strategica resta a guardare. Un fronte alternativo
alla linea dell’aggressione imperialista e del terrore jhadista sembra non
esistere, e quello dell’essere vittima si vuole ovviamente evitare. Per
disarticolare il secondo, che pare essere tutt’uno col mondo che dice di
combatterlo, dovrebbero cadere le teste di tanti demagoghi della democrazia e
della libertà che invece governano il mondo. Moderati e riformisti di Teheran
oggi si trovano davanti a un bivio: essere schiacciati da nemici esterni o da
avversari interni. Scelta che scotta come l’emergenza in corso.
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