I sovrani dei petrodollari hanno da tempo
sostituito invidie e rivalità con scontri diplomatici e addirittura conflitti. Dietro
l’angolo ci sono sempre interessi economici, pur ammantati da orientamenti
religiosi e politici. L’attuale contrasto guidato dai sauditi, e volto a
isolare il Qatar ponendogli un cordone sanitario allargato a pesi massimi del
mondo arabo come l’Egitto, prende spunto da una sua presunta prossimità col
terrorismo, un’accusa che rimanda al mittente perlomeno una chiamata di correo.
Riyad e Doha erano ai ferri corti dall’avvio delle primavere arabe che avevano
tracciato un solco incolmabile fra i due Paesi. Il regno qatarino voleva cavalcarle
anche mediaticamente con l’emittente Al
Jazeera, fenomeno di professionalità comunicativa non proprio mainstream,
certamente tacciata di partigianerie e orientamento per tesi. La monarchia
saudita, conservatrice e coercitrice verso ogni cenno di protesta (come fece
sin dal marzo 2011 in Bahrain) considera le piazze mediorientali
pericolosissime. Da quegli eventi le cronache sono corse veloci e incessanti,
passando soprattutto per la guerra civile siriana, la creazione di un nuovo
soggetto jihadista chiamato Isis che affiancava e soppiantava Qaeda, proponendosi
e realizzando il proprio Stato Islamico. Imponeva questo disegno in nazioni in
disgregazione (Siria e Iraq), con una forza e una capacità organizzativa impressionante
e al tempo sospetta, di fronte a potenze globali osservatrici imbambolate (e
complici?). Continua a diffondere un sanguinario terrore in un Occidente e un Oriente
sconvolti da attentati diffusi con ogni mezzo.
Ma chi finanzia Daesh? Secondo le accuse di
Riyad proprio la dinastia Al-Thani. Però tutto ruota attorno a voci senza
riscontri certi che, purtroppo, mancano anche per altri sostenitori e donatori
provenienti dal Golfo, dall’Anatolia, da nazioni asiatiche ed è possibile
sospettare dalle casse di certe
Intelligence che fanno uso e abuso delle pratiche terroristiche per strategie
di controllo, com’è accaduto in varie epoche. Certo, il Califfato segue un percorso
autonomo sia politico, sia finanziario con propri canali d’approvvigionamento
(commerci, traffici, furti) ma in quest’orizzonte le strategie e il doppiogiochismo
si compenetrano da parte di tutti. Allora la campagna contro Doha, uno
staterello potentissimo e con manìe di grandezza nell’esibire e compenetrare i
simboli occidentali dai mega grattacieli creati su un territorio circoscritto
(11.000 kmq per 2 milioni e mezzo di abitanti) ai Mondiali del pallone, senza
sottovalutare la meticolosa rete d’influenze e contatti che i suoi emiri hanno
creato, ha lo scopo di colpire alcuni piani geopolitici del Qatar e dei suoi
interlocutori. Il pretesto è fornito da recenti dichiarazioni, effettivamente
esplicite e avventatissime che Al-Thani ha pronunciato a favore delle milizie
Hezbollah. Di mezzo c’è il mistero di una smentita poiché quelle dichiarazioni
sarebbero frutto di un hackeraggio. Ma come, i principi della comunicazione,
col fior fiore del professionismo di Al
Jazeera, si fanno taroccare le comunicazioni? Può accadere, è successo
anche alle Intelligence… Comunque veri o falsi quei concetti rappresentano il
pretesto con cui il gruppo coeso della conservazione araba, dopo aver ricevuto
il benestare del presidente statunitense, cerca di colpire un soggetto troppo
autonomo e intraprendente. La rosa del sostegno al terrorismo rinfacciato al
Qatar aggiunge a elementi apertamente jihadisti (l’ex Al Nusra, ora Al Jafash),
anche Hezbollah libanese e Hamas palestinese.
E la componente dell’Islam politico più antica e
blasonata, la Fratellanza Musulmana, detestata da Salman e dall’astro nascente
saudita Mohammed Bin, ma soprattutto odiata e combattuta al Cairo, dov’era più
forte e dove è stata messa fuorilegge, imprigionata e torturata dal generale
Sisi. E’ vero che tuttora politologi occidentali e arabi considerano l’essenza
della Confraternita ispirata più da quel sovversivismo di Qubt in odore di
jihad, che dal pensiero originario di al-Banna o dai compromessi che hanno
caratterizzato il reinserimento del suo ceto politico dell’ultimo ventennio. Ma
proprio la cancellazione di qualsivoglia essenza politica islamica ha ampliato
gli spazi per quel jihadismo che in
situazioni complesse (Afghanistan e Pakistan) o di feroce repressione (Egitto)
si presenta agli occhi di certa popolazione come l’unica alternativa a un sistema
basato su governi-fantoccio, truppe d’occupazione, giunte militari pur celate
dietro istituzioni fantasma. Nello scontro per l’egemonia mediorientale i
sovrani dei petrodollari non tralasciano colpi bassi, la ricerca del capro
espiatorio qatarino serve ai Saud per sviare da se stessi quei sospetti che
addossano al clan Al-Thani, sospetti comuni perché comune è la strategia del
terrore diffuso predicato dal salafismo wahhabita che ciascuno protegge nelle
sue moschee. Con l’aggiunta dei mai dismessi affari e questi ora vedono Doha,
terza attrice del gas mondiale aprire un business con Teheran in un enorme
giacimento scoperto sotto le rispettive acque territoriali. Per evitare che lo
spettro iraniano si materializzi sulla sponda arabica giunge l’ostracismo, per
ora diplomatico. Sebbene sarà difficile che il business qatarino viva una
condizione di totale apartheid.
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