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giovedì 1 giugno 2017

Fetö: lo ‘Stato profondo’ turco e i misteri del tentato golpe

Fra arresti, epurazioni, ritorsioni trasversali che superano la cerchia diretta dei familiari l’apparato giudiziario turco è da mesi al lavoro per il repulisti dell’ennesimo ‘Stato profondo’, quello con cui il presidente Erdoğan accusa l’ex sodale Fethullah Gülen e il gruppo indicato con l’acronimo Feto che ha assunto la valenza di terrorista. Il capo d’accusa ovviamente peggiora la posizione dei membri che per il piano di aggressione alla sicurezza della nazione (che non si limita al tentato golpe del 15 luglio scorso) rischiano la condanna a morte o pene detentive pesantissime. Negli ultimi tempi sul caso lavora anche una Commissione d’inchiesta parlamentare, dove il peso del partito di maggioranza (Akp) è massivo e dove, ad esempio, non c’è presenza dell’opposizione democratica dell’Hdp, visto che tanti suoi esponenti sono finiti anche loro in prigione con accuse simili, pur rivolte a una presunta appartenenza a un’altra organizzazione accusata di terrorismo: il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Il ruolo di capo della citata Commissione è ricoperto da un uomo di fiducia del partito di governo, Reşat Petek, i cui interventi scritti e orali hanno destato curiosità alla stampa rimasta libera. Ne parla il quotidiano progressista turco Cumhuriyet ancora in grado di seguire quelle e altre vicende con la penna di cronisti rimasti a piede libero. La ‘rivelazione bomba’ che fa la Commissione è la presenza all’interno della struttura illegale Feto di un’unità speciale che controllava quei fethullaçi inseriti come poliziotti, militari, agenti speciali, giudici, evidentemente non fidandosi della loro fedeltà. Insomma, secondo la Commissione, nell’organizzazione gülenista esisteva un meccanismo separato di controllo, ipotesi che rappresenta una vera leccornìa per i fan del complottismo. Poi il documento specifica che questa specie di nucleo d’acciaio a fine 2013 interruppe il lavoro di verifica semplicemente perché venne scoperto, perciò smobilitò dandosi alla fuga all’estero nei primi mesi dell’anno seguente.
Mancano, però le coordinate per comprendere chi avesse smascherato i controllori, se gli spiati interni oppure lo Stato turco (di quale orientamento politico?) che veniva infiltrato da Fetö. Forse il mistero verrà svelato, per quanto il sospetto che non sia stato certo il Mıt a stanare il cosiddetto Special Ones, viene da altri passi della relazione della Commissione. Questa, contabilizzando le rendite del gruppo gülenista che in nord America conta 155 scuole disseminate in 27 Stati dell’Unione, a un certo punto afferma che l’Intelligence turca, tenendo sotto osservazione le Forze Armate, non escludeva un possibile golpe, ma non sapeva molto di più. E poiché il Paese nell’ultimo cinquantennio di colpi di mano ne ha subìti tre, cui s’aggiungono ulteriori  tentativi di cospirazione, vuol dire quasi occuparsi dell’ordinario. Comunque a un certo punto il report parlamentare rivela che gli agenti segreti non potevano parlare con Erdoğan (sic), cosicché il responsabile si domandava se ci fossero anomalie e se fosse scattato un piano di difesa presidenziale contro potenziali minacce (probabilmente sì, visto che il reparto dell’aeronautica preposto a intervenire e colpire il presidente non riuscì a farlo, ndr). Però resta vaga l’informazione se chi doveva colpire non riuscì a farlo o non volle farlo… E non si tratta dell’unica indefinitezza della relazione. Petek nel corso della conferenza stampa che ha seguìto la divulgazione della documentazione ha ribadito le infiltrazioni compiute da Fetö anche nel sistema amministrativo e giudiziario, e quando si afferma che il gruppo gülenista coi suoi membri assunse la direzione del Collegio Supremo dei giudici si fa riferimento a fatti relativamente recenti, datati 2010. Un periodo in cui l’imam Fethullah era prossimo al partito di Erdoğan e interagiva con lui, a conferma d’un segreto che brilla alla luce del sole: l’infiltrazione negli apparati dello Stato kemalista era un progetto che univa i due politici islamisti.

Quanto a certe dichiarazioni presenti nel report, secondo cui il partito repubblicano nel lontano 1967 avesse ricevuto finanziamenti da Gülen (5.000 lire turche equivalenti a 560.000 dollari dell’epoca) si è sollevato il deputato del Chp Erdoğdu accusando di falso questo passaggio del documento. Il dito è puntato apertamente: Petek mette insieme pseudo notizie e insinuazioni raggranellate sul web senza alcuna verifica, cosa del tutto immorale per una struttura così importante che indaga su una fase altrettanto delicata della vita nazionale. La risposta del presidente si è basata su un generico “non ricordo” che non pone in buona luce questa figura di spicco della Commissione parlamentare. Ciò che appare, comunque, lineare nelle pagine della relazione è una sorta di propaganda sui temi del secolarismo e dell’educazione religiosa. Il repulisti anti gülenista deve servire per ridefinire il primo e per impostare verso nuova morale la seconda. Per il futuro occorre ribadire che il secolarismo è una condizione dello Stato e non riveste un ruolo politico socio-identitario. Il secolarismo deve difendere la fede e la pluralità del pensiero, anzi porsi come baluardo di sostegno delle differenti interpretazioni religiose. Quest’ultime devono essere controllate dal Centro di Ricerche e dall’Accademia degli Affari Religiosi per evitare fenomeni di predicatori indipendenti che lanciano sermoni con interpretazioni soggettive, anch’esse pericolose per l’ordine pubblico. C’è bisogno di creare unità di controllo dentro e fuori le caserme e si propone un percorso investigativo dell’Intelligence dentro il palazzo presidenziale con rapporti frequenti e dettagliatissimi. La quadratura del cerchio diventa l'investigazione costante su tutto il personale, civile e militare, impegnato nell’attività di sicurezza. Già. E qui, in base a quanto visto, scoperto e ipotizzato  il ‘gioco dell’oca’ della sicurezza torna al punto di partenza: chi controllerà questi controllori?

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