Nello
scontro di lungo corso che mostra chi comanda e dove in Afghanistan, la cronaca
spesso sanguinossima legata ad attentati e assalti riversati sulla popolazione
civile (nell’esplosione di ieri oltre a due giornalisti e qualche funzionario
le novanta vittime risultano prevalentemente passanti) supera la strategia dei
conteggi. Quelli con cui la diarchia Ghani-Abdullah ha cercato di rassicurare
la popolazione e i tutor statunitensi che due terzi delle province risultavano
sotto il controllo dei propri soldati. Di fatto non è così, ma anche i turbanti
che da circa due anni hanno rilanciato azioni simboliche e tattiche in grande
stile, non hanno la forza per rovesciare con le armi l’attuale establishment.
Il conflitto diretto s’è arricchito di ulteriori aiuti, che nuovi non sono
perché provengono dai soliti noti: le grandi potenze e quelle regionali,
presenti direttamente e dietro le quinte dello scenario afghano. Un teatro che
conta perché inserito nel cuore del continente asiatico. Così l’immancabile
Isis da diversi mesi s’è materializzata in quelle lande, creando l’immediato
risentimento talebano. I sunniti pashtun non ammettono ingerenze in un
conflitto che combattono in varie forme da quarant’anni. Se i messaggeri di al-Baghdadi
hanno trovato accoglienza nella terra dell’Hindu Kush questa è passata
attraverso la componente talebana entrata in contrasto con la nuova dirigenza e
tramite le frange dei Tehreek-e Taliban attivi in alcune aree di confine col
Pakistan.
Quest’ultimo
attua da tempo un doppiogiochismo, mostrando i vertici politici e militari
disposti a collaborare nella repressione del terrorismo fondamentalista mentre
la sua Intelligence (Isi) lavora per fomentarlo. Soprattutto oltreconfine per
destabilizzare il progetto statunitense di sostegno al governo fantoccio di
Kabul, prima nella versione Karzai ora con quella Ghani. Amministrazioni acquiescenti
verso le truppe Usa cui è garantita una stanzialità con nove super basi aeree
che hanno una funzione strategico-militare verso i giganti locali: Cina, India
e Russia. Il concetto del ‘Grande gioco’, come fu quello che contrappose fra
Ottocento e Novecento gli imperi britannico e russo, viene ripreso da un nostro
interlocutore a Kabul, l’attivista di Hambastagi Farid Delijo che abbiamo
interrogato rispetto all’enorme esplosione di ieri. “Personalmente non credo che dietro l’attentato ci sia la rete di
Haqqani (una delle componenti fondamentaliste talebane, ndr). Non penso sia in grado di penetrare e colpire
all’interno della zona rossa di Kabul. Lì ci dovrebbe essere la mano
dell’Intelligence locale”. Gli
ricordiamo altre azioni spettacolari compiute da commando talebani nella
capitale “Certo, è vero. Ma non in quella
zona che risulta controllatissima. Quando il comune sentire della popolazione è
alto il governo prova a incolpare il Pakistan (come ieri ha fatto un
comunicato i Servizi interni, ndr). Il
governo prova a ridurre le proprie carenze, a nascondere le mani sporche di
sangue”.
“Ultimamente stiamo notando come il Pakistan
non sia più il principale fomentatore del caos afghano. E’ il nostro governo a
produrre terrore e cerca d’incrementare la tensione fra Russia e Forze Nato.
Gli Stati Uniti sostengono l’Isis, la Russia offre una sponda sempre più aperta
ai talebani. Entrambi percorrono la via terroristica e la strategia delle armi”.
Insomma per il nostro interlocutore il “Grande gioco” e lo scontro per procura
ritrova spazi, spiazzando altre soluzioni. Nel conflitto ideologico a distanza
combattuto a suon di comunicati la maggioranza talebana afferente alla Shura di
Quetta, e anche a una rete di Haqqani meno estremista di altri tempi, ribadiva
la sua battaglia contro l’occupazione militare occidentale per una liberazione (quasi
patriottica) del suolo nazionale. Mentre i proclami dell’Isis - quello della
cerchia di Baghdadi e il neonato interno ad alcune aree del Paese - mira a un
Califfato extraterritoriale simile al disegno messo in atto fra Siria e Iraq.
Il comune denominatore è l’uso della violenza, sebbene i talebani stiano
condannando la pratica di assassinio indiscriminato verso la gente, diventato
il fulcro delle azioni dell’Isis. Quest’ultime puntano a uccidere e
terrorizzare la popolazione più che a colpire nemici in uniforme o in borghese.
E nel disegno dell’odio che si nutre delle deformazioni coraniche di certa
predicazione wahhabita e deobandi, può tranquillamente albergare la mano dei
“professionisti della paura e della morte” braccio armato dei potenti del
mondo. Intanto si prosegue: stamane l’esplosione è a Jalalabad.
Nessun commento:
Posta un commento