Cinque colpi secchi di
pistola alle spalle e Andrey Karlov, l’ambasciatore russo ad Ankara, cade a
terra stecchito. Ad assassinarlo un ventiduenne in abito scuro e cravattino,
una mise da guardia del corpo. Invece
il killer è un jihadista che grida come un ossesso per un minuto mentre le
telecamere di varie tv, che riprendevano in diretta dalla Galleria d’arte Moderna
dove s’è consumato l’omicidio, lo inquadrano. I microfoni, dai quali il
diplomatico interveniva all’inaugurazione d’una mostra fotografica il cui
titolo (‘La Russia con gli occhi dei
turchi’) risuona come un macabro monito, registra tutto. L’attentatore è un
poliziotto, per introdursi nei locali ha mostrato un tesserino, ma
evidentemente nessuno l’ha perquisito e ha controllato se fosse in servizio e
soprattutto se fosse armato. Dopo la scarica di proiettili, ha lanciato
proclami contro l’intervento militare russo in Siria e ha tenuto sotto tiro
decine di persone che partecipavano all’evento. Quindi è stato abbattuto da
agenti delle forze speciali accorsi per neutralizzarlo. L’azione appare
preparata ad arte. Domani è previsto a Mosca un vertice fra i ministri degli
esteri turco Cavusoğlu, quello russo Lavrov e iraniano Zarif proprio per
discutere della situazione siriana. Non si sa se a seguito del sanguinoso
attentato l’incontro verrà confermato. Il presidente Putin ha riunito i vertici
dei propri servizi segreti.
Appena la notizia s’è
diffusa Stati Uniti col rappresentante del Dipartimento di Stato Kirby,
l’Unione Europea per bocca dell’Alta Rappresentante della politica estera
Mogherini, l’Onu col portavoce Dujarric hanno condannato l’atto criminale ed
espresso solidarietà alla Russia. Una nota del governo turco parla di
provocazione per intossicare le relazioni fra i due Paesi, ma nelle strade
della capitale s’erano svolte in più occasioni proteste contro i bombardamenti
dell’aviazione di Mosca su Aleppo est, recentemente conquistata dall’esercito
di Asad. L’attentatore era a tutti gli effetti un agente dell’Accademia di
Polizia, non si sa se come infiltrato islamista o se abbia abbracciato il jihad
negli ultimi tempi. L’elemento appare come un miliziano a tuttotondo, non
assimilabile alla rete dei fethullaçi,
(i seguaci di Fethullah Gülen) ben presenti fra le forze dell’ordine, che da
mesi le purghe erdoğaniane hanno smantellato. Secondo alcuni in buona parte, ma
non del tutto. Certo è che un retroterra di diffuso sostegno islamico alle
sorti dei sunniti siriani sottoposti all’offensiva dell’esercito lealista è ben
presente in Turchia, nonostante i passi di distensione compiuti negli ultimi
mesi dal presidente verso l’omologo russo e un parziale abbandono della linea
di sostegno islamico al fronte ribelle. Ora, il gravissimo atto di sangue, pone
il governo di Ankara in seria difficoltà nel relazionarsi coi russi. Erdoğan, già
afflitto da vari fronti di contrasto, dovrà scoprire quali fra i suoi nemici (e
anche amici) gli abbia giocato questo tiro mancino. Porvi riparo non sarà
facile perché la destabilizzazione è dietro l’angolo.
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