Infilarsi nel colabrodo dei controlli
predisposti dall’Afghan National Forces e colpire è diventato una gara aperta
fra le componenti del combattentismo afghano. Chi abbia colpito ieri sera la
comunità sciita raccolta davanti a una moschea di Kabul (13 vittime e una
cinquantina di feriti) è ancora impossibile sapere: manca una rivendicazione e
una nota governativa si limita a solidarizzare coi familiari delle vittime e
stigmatizzare l’ennesimo attacco mortale. Non è, però, in grado di evitare
spargimenti di sangue. Anzi, una voce dell’Intelligence interna rivela
all’emittente Tolo tv che si temono
nuovi attentati per le celebrazioni dell’Ashura (la festa sciita in cui si ricorda
la morte di Hussein, nipote del profeta). In contraddizione con questi timori
non si comprende perché ieri, in occasione dell’arrivo di centinaia di fedeli,
la moschea in altre occasioni presidiatissima risultasse poco vigilata. Lo
sostenevano ai microfoni della tivù afghana alcuni feriti. L’ipotesi che nelle
file del fondamentalismo sunnita ci sia chi vuole innescare un conflitto
religioso con la minoranza hazara (di fede sciita) era stata già avanzata nella
scorsa estate in occasione della strage (oltre ottanta vittime) che aveva
colpito questa comunità riunita in corteo per le vie della capitale.
Se si tratti di talebani dissidenti che si sono
avvicinati all’Isis oppure di quel fondamentalismo deobandi, comunque presenta
fra alcuni clan taliban, non è tuttora chiaro. Sebbene negli scossoni, non
senza conflittualità, che hanno attraversato quella galassia negli ultimi
diciotto mesi per rimpiazzare alla guida il defunto mullah Omar, anche gli
irriducibili della rete di Haqqani s’erano accordati coi mullah di Quetta per
una strategia unitaria. E questa da tempo non prevede fratture etniche né
religiose. Certo, gli hazara sono sempre trattati come paria dai gruppi tribali
pashtun, ma un’offensiva interna mirata contro gli sciiti non era all’ordine
del giorno. Almeno finora. Indiziati i guerriglieri irriducibili Tehreek-e
Taliban, schierati col disegno del Daesh e sostenuti dell’Isi pakistana.
Oppure, facendo un’escursione nel passato, qualche miliziano di Hekmatyar, lo storico
massacratore di hazara all’epoca della guerra civile interna. Ma quest’ultima è
un’ipotesi poco credibile. Hekmatyar ha appena firmato un patto col governo
d’Unità Nazionale, s’appresta a essere un interlocutore dei talebani disposti
al dialogo con Ghani così da finire imbarcati in un governone aperto a tutti:
amministratori filo occidentali, signori della guerra più o meno
fondamentalisti, talebani. “Se non puoi
battere il nemico, fattelo amico” sentenzia uno storico motto.
E citando un’altra frase celebre della guerra
infinita, nata sulle montagne dell’Hindu Kush e continuata nelle valli, pianure
e città afghane: “Gli americani hanno il
controllo dell’ora, i talebani quello del tempo”. Un elemento sul quale lo
stesso Pentagono ha molto ragionato nell’ultimo biennio tanto da spingere sulle
stesse resistenze del mondo politico statunitense, democratico o repubblicano,
a uscire dall’avventura afghana, giudicata assolutamente fallimentare. La linea
incarnata dal segretario di Stato Kerry ha molto battuto sulla favola di un’amministrazione
autoctona pur legata a personaggi ampiamente pilotati. E’ la coppia
Ghani-Abdullah, peraltro in connubio forzato onde evitare conflitti fra le
etnie e i clan tribali che sostenevano l’uno contro l’altro. Sfiorato il
conflitto interno il Paese naviga a vista da due anni. Continua a essere
afflitto da burocrati inefficienti e corrotti, a sperperare il denaro degli
aiuti internazionali che finisce nelle solite mani di potentati, a subire
attacchi sempre più smaccati dai resistenti che, piano estremo, vengono
convocati al tavolo delle trattative ma non è detto che ci si siedano. I Talib
chiedono di più, alcuni di loro pensano di poter avere carta bianca come nel
1996 e rilanciare l’Emirato. Poiché si ritengono gli unici in grado di poterlo
attuare su un territorio che per buona parte è la propria casa, le Fata, e
perché hanno messo radici anche lì dove gli antichi warlord sono originari.
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