La forza di certa politica rivolta al popolo sta nel realizzare quel
che serve in maniera opposta al populismo che spesso enuncia solo e non fa. Dal
Rojava - regione sul confine turco-siriano dove la vita è comunque bella seppur
difficile, visto che gli abitanti devono vedersela coi miliziani neri dell’Isis
- giungono notizie su una particolare riforma della scuola. In situazione
d’emergenza, perché lì vige il primum
vivere, ma argutamente le autorità kurde del cantone di Kobanê, hanno
compreso che contro ogni assedio un’arma formidabile è rappresentata dall’istruzione
della propria gente. Certo, gli oltre settemila bambini in età scolare primaria
(i dati riguardano una fascia corrispondente alle nostre elementari) devono
accontentarsi solo di sette edifici ancora in piedi, risparmiati da ogni genere
di bomba e granata. Ma in quella precarietà pulsa un progetto educativo a
tuttotondo che adotta princìpi semplici della pedagogia: stabilire ascolto e
relazione fra insegnanti e alunni, evitare le punizioni, soprattutto quelle
fisiche che in alcune zone rurali, per consuetudini sedimentate, sussistono
tuttora.
Nel piano di formazione, anche comportamentale della comunità,
ci si rapporta ai familiari dei bambini affinché antichi retaggi scompaiano e
si crei collaborazione e comprensione in ogni fase della vita infantile e
adulta. Un insegnante che ci ha narrato la vicenda non nasconde la difficoltà
del percorso, ma evidenzia il robusto legame seguito ai copiosi sforzi di
attenzione, spiegazione, partecipazione fra quest’idea di scuola e la società
dove si sta sviluppando. Quella collettività resta aperta e solidale, scopre e
difende i valori di competenza, fiducia, collaborazione, responsabilizzazione
fra gli adulti attuali e quegli adulti del domani che sono i bambini. Nel
sentirsi parte attiva di un’entità scolastica e anche sociale, non mancano i
contributi a un aspetto essenziale nella situazione d’emergenza vissuta dal Rojava:
il concorso al mantenimento e miglioramento, pure fisico e logistico, di quel
che si ha e si va ricreando. Un altro miracolo in cui il maestro di Kobanê spera,
riguarda i libri di testo: dalla Turchia non arrivano, men che meno in lingua
kurda, perciò lui sogna che, grazie all’aiuto internazionale, la città recuperi,
dopo le scuole, una tipografia.
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