Le minacce erano state dirette e pesanti con
tanto di denuncia da parte di Erdoğan in persona: Dündar, il direttore di Cumhuriyet, è un provocatore, traditore
e terrorista collegato col network del movimento Hizmet; ha inscenato il ritrovamento di armi nelle casse di
medicinali in viaggio verso la Siria per denigrare la patria; merita un
ergastolo, anzi due, per attentato alla sicurezza nazionale nel personale del
Mıt e per spionaggio. Un assist perfetto cosicché ora un giudice spicca un
mandato di cattura per lui e il caporedattore della testata di Istanbul, Erdem
Gül. La coppia di giornalisti è stata condotta in carcere, Dündar ha fatto in
tempo a dichiarare ai cronisti che seguivano il prelevamento “Noi non siamo né traditori, né spie, né
eroi; siamo giornalisti. Quel che abbiamo fatto era attività giornalistica”.
La “colpa” dei redattori del quotidiano turco nel servizio del gennaio 2015 (i
due arrestati ne rispondono in quanto responsabili) era seguire le tracce che
portavano ad alcuni autotreni di aiuti umanitari in viaggio verso la Siria.
Agenti della polizia di frontiera, rovistando
fra le casse caricate sui camion trovavano mitra e munizioni, più colpi di
mortaio e di contraerea. La perquisizione era stata predisposta da un
magistrato, probabilmente c’era stata una soffiata interna ad ambienti
giuridico-polizieschi. Ma i reporter erano estranei alla manovra, avevano
semplicemente filmato l’operazione di controllo, esercitando il diritto di cronaca.
L’accondiscendenza di Ankara verso gruppi islamici impegnati contro il regime
di Asad non è cosa nuova e va avanti dal 2012, egualmente il doppiogiochismo
nei confronti dei miliziani dell’Isis è palese da oltre un anno, il carico di
armi dunque poteva essere rivolto agli uni o agli altri, oppure a quei
guerriglieri anti Asad del ceppo turkmeno, i Bayırbucak
Turkmens, venuti alla ribalta di recente dopo l’abbattimento del Su 24 russo
sul confine turco-siriano. Uno dei piloti è infatti caduto nel territorio
controllato da quest’etnìa.
All’epoca dell’imbarazzante ritrovamento, anziché
chiarire come mai il materiale bellico si trovasse fra antibiotici e
antidolorifici, per settimane i vertici dell’Intelligence hanno accampato
scuse, come se dovessero nascondere un’iniziativa maldestra. Quindi nell’ordine
il governo per bocca del premier e soprattutto il Capo dello Stato hanno inveito
contro lo scoop giornalistico, definendolo una losca provocazione. Non contento
Erdoğan ha alzato i toni, ha utilizzato anche quest’episodio per la sua
battente campagna repressiva rivolta alla stampa non acquiescente, ha scatenato
sul fronte dell’informazione denunce e arresti di cronisti, su quello amministrativo-gestionale
veri e propri scippi, com’è accaduto al management della Koza İpek Holding’s media consegnata
a imprenditori e amici vicini all’Akp, per finire col tollerare gli assalti
alle sedi dei giornali messi in atto da attivisti del partito islamista. Tutte
iniziative nelle quali è difficile non cogliere una regìa da parte dell’uomo
forte di quello che diventa un “kemalismo islamico” intollerante e fanatico.
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