A Yarmouk, periferia sud di Damasco, vivono ancora in diciottomila. Sono rifugiati palestinesi,
figli, nipoti, pronipoti della diaspora. Del diritto al ritorno negato
dall’occupazione israeliana della loro terra. Vivono è un eufemismo, da oltre
un anno sopravvivono perché scarseggia tutto anche pane e acqua. Ci sono respiri
affannosi e paure celati fra scheletri di case, macerie e polvere. Sulla testa
le bombe delle artiglierie dell’esercito di Asad e dei ribelli. Nello stesso
campo sbriciolato fazioni palestinesi si attaccano, buona parte è contro il
governo siriano, ma c’è chi si batte coi suoi soldati riconoscendogli
l’accoglienza di vecchia data. I ricordi cozzano con la realtà dell’iniziale
guerra civile trasformatasi in una sanguinosissima mattanza. Con la comparsa
dell’Isis è arrivato il peggio e in questi giorni le truppe jihadiste si sono
prese un grosso spazio di quella terra di morte, dove chi non è fuggito
continua a stare, forse senza poter neppure raccomandare più l’anima a Dio. Quelle
migliaia di persone, provate da anni, non sanno dove e con chi stare;
vorrebbero essere altrove, vorrebbero quello che nella loro storia è diventato
un sogno irrealizzato.
Ora Yarmouk è in emergenza assoluta. Gli organismi di soccorso come Mezzaluna Rossa e Croce Rossa
sostengono che senza corridoi d’aiuto per far giungere medicinali salvavita e
generi alimentari primari i più deboli - come al solito bambini e anziani - non
potranno farcela. Moriranno a centinaia. A questi profughi, ai tre, quattro,
cinque milioni (non sono numeri a caso, la cifra precisa sfugge anche agli
organismi Onu preposti per le statistiche) di siriani, aleviti, kurdi, yazidi,
armeni, turkmeni e chissà quali altre etnie sparse e sperse per tendopoli
diventate città, è sempre più difficile offrire un aiuto. Ovviamente sono le
crisi a determinare le emergenze, e sulla crisi politica siriana la geopolitica
mondiale ha giocato e gioca la sua partita del cinismo e del Risiko
internazionale. Se componenti, pure in conflitto duro e senza esclusione di
colpi, come sono il clan Asad con la popolazione che lo sostiene e i rivoltosi
sunniti dell’occidente d’un Paese diventato un colabrodo potevano fra mille
incertezze trovare una mediazione, la presenza dello Stato Islamico rende tutto
impossibile. Il futuro prossimo parla solo di guerra e sofferenze a Yarmouk e
altrove. La comunità mondiale guarda e tace.
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