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giovedì 2 ottobre 2014

Assedio alla Rojava, il simbolo dell’utopia praticabile

 

Se Kobanê assediata diventa la piccola Stalingrado kurda, esiste un comune denominatore che avvicina i nemici del Rojava. Pur schierati su fronti opposti i jihadisti dell’Isis e l’esercito turco puntano entrambi alla caduta di questo simbolo. La regione autonoma in terra siriana è la prova che l’utopia di Öcalan sull’autonomia federale ultranazionale può diventare realtà. Lo Stato Islamico la vive come ostacolo alla sua espansione e dominio della regione; la Turchia come un pericoloso esempio che la ben più numerosa comunità kurda presente nei suoi confini può e vuole imitare. Il presidente Erdoğan, già da premier, ha avviato coi kurdi la partita doppia dei colloqui e della repressione. Un confronto che il prigioniero Öcalan e i parlamentari kurdi, che periodicamente lo visitano nel supercarcere di Imralı, conducono con paziente attenzione. Il leader turco è parso in più di un’occasione un doppiogiochista, praticando una specie di ‘stop and go’ per irretire le richieste socio-politiche della cospicua minoranza. Ennesima tattica per dilazionare i tempi. Come tattica appare l’attuale presenza di carri armati sul confine siriano che lo Stato turco dovrebbe usare contro i jihadisti. Ma questi carri e i diecimila soldati di frontiera possono servire ad altro. E’ già accaduto.



Servono a fermare il doppio flusso nelle frontiere turche dei profughi civili che fuggono dal terreno di scontro e a bloccare i militanti kurdi che corrono a combattere a fianco dei fratelli del Rojava. Quest’area, posta in territorio siriano oltre la linea di confine turca, è divisa in tre cantoni: a ovest Efrin, al centro Cezire, a est Kobanê. E’ abitata da circa quattro milioni di persone, in gran parte kurdi, mentre a Cezire, che è l’area più vasta, convivono arabi, aramaici, yazidi, cristiana, oltre gli islamici. A Efrin sono presenti anche gli alawiti. Questo melting pot di etnìe, culture, religioni e lingue che si dà una definizione sul piano politico-amministrativo è l’elemento rivoluzionario del Rojava, incute terrore al fondamentalismo wahhabita ispiratore del califfo Al Baghdadi e infastidisce non poco il sultano turco. Al di là dell’attuale momento critico dovuto all’offensiva jihadista i cantoni avevano già avuto difficoltà di coordinamento, ma, per i suoi teorizzatori del Partito dell’Unione Democratica, rappresentavano la migliore soluzione per superare il centralismo del partito Ba’ath. La loro esperienza è in continuo sviluppo, si fa forte del concetto di autonomia democratica che viene proposto all’intera nazione siriana tramite un federalismo che vede una “patria democratica composta da cittadini multilingue, multinazionali, multireligiosi.


Un luogo dove kurdi, arabi, assiri, caldei, turkmeni, armeni, ceceni condividono una patria comune”. Un progetto di società che economicamente sostiene uno sviluppo egualitario basato sul principio “a ognuno secondo il suo lavoro”, incentivando scienza e tecnologia, ma preservando gli interessi di lavoratori e consumatori e tutela dell’ambiente. Sul piano dei diritti c’è massima garanzia per donne e bambini. Le prime possono e devono esprimersi nelle sfere politiche, socio-economiche e culturali. Ai piccoli dev’essere assicurato un futuro dignitoso sul piano della crescita, dell’istruzione, della collocazione sociale. Il progetto deve fare i conti con le attuali emergenze di guerra e d’assedio e con chi lo contrasta su altri versanti. Fra costoro Asad, centralizzatore e oppressore delle diversità che non accettano la convivenza tutt’altro che egualitaria su cui è basato il suo regime. Ma anche le realtà kurde più forti a cominciare dal Kurdistan iracheno nella versione filo occidentale di Masoud Barzani. Eppure in queste ultime settimane, la durezza del conflitto con l’Isis, la drammaticità della situazione in atto con massacri e centinaia di migliaia di profughi in movimento, ha visto i resistenti del Rojava e i peshmerga collaborare e combattere insieme. Certamente i primi coi soli kalashnikov, sebbene cominciano a giungere armi pesanti iraniane.


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