Nel corso dell’ultima settimana alcuni
quotidiani arabi (Al-Masry Al-Youm, Al-Ahram)
hanno diffuso la notizia del rilascio di alcuni dirigenti d’un certo peso della
Fratellanza Musulmana egiziana (uno è Halmi El-Gazar) e con essa dell’ipotesi
di trattative col governo e lo stesso presidente Al-Sisi per una sorta di
riconciliazione fra le parti. Voltando letteralmente pagina sulle durissime
repressioni in atto dal luglio 2013, indirizzate soprattutto a quel movimento
politico stesso che ha contato circa duemila morti e ventimila incarcerati. Uno
degli attori dell’iniziativa sarebbe il membro della Confraternita, Mohammed
El-Katatney, che fu speaker parlamentare finché il Parlamento non venne
congelato dallo stesso generale Al-Sisi. A coadiuvare Katatney un altro noto
leader islamico: Ali Bashir. I due avrebbero in animo anche di formare un nuovo
gruppo politico moderato. Ma da Londra giunge la smentita d’un altro Fratello
che conta, Ibrahim Mounir, che sostiene come non sia in piedi nessuna mossa
conciliativa. Vedremo se la notizia prenderà corpo.
La diceria può essere scaturita dal fatto che il
terzetto formato da El-Gazar, El Katatney, Bashir nell’estate 2013 aveva
cercato di mediare col neo governo egiziano e l’Unione Europea una situazione
interna diventata incandescente dopo l’arresto del presidente legittimo Mursi,
accusato d’alto tradimento e incitazione alla violenza. Attualmente anche
alcuni analisti ed esponenti politici del fronte islamico, pur non vicini alla
Fratellanza, ipotizzano che l’attuale profonda frattura con un’ampia fetta di
simpatizzanti ed ex elettori della Brotherhood andrebbe sanata. Ma non nei modi
in cui l’ha presentata in una personalissima conferenza stampa nel distretto di
Aswan un altro rilasciato celebre, l’ex parlamentare El-Omda, che sostiene
l’accordo senza toccare questioni quali: emendamento della nuova Costituzione,
messa al bando del movimento islamico, non solo come Fratellanza e Partito
della Libertà e Giustizia, ma in un ambito più generale. Insomma altri colleghi
di Omda lo smentiscono.
Vere o presunte trattative, c’è da notare un
allentamento della tensione verso una componente ‘morbida’ della leadership islamica
reclusa, della quale il governo egiziano libera taluni detenuti. Scarcerazioni motivate,
a detta di qualche commentatore, dall’inconsistenza di talune accuse, che sono
però le stesse (incitazione alla violenza) rivolte ad altri capi della
Fratellanza tuttora reclusi. L’iniziativa in atto ha, dunque, un sapore ampiamente
politico e viaggia su due livelli. Sul fronte interno cerca un dialogo con
elementi moderati che potrebbero dividere una ‘casa madre’ accreditata nel
2011-12 d’un ampio seguito di consensi, prospettiva tattica utile al regime
militare e favorevole ai partiti laici che l’hanno coadiuvato per le prossime
elezioni. Mentre nel panorama mondiale, col Medio Oriente incendiato e lacerato
in più zone dall’avvento dello Stato Islamico, l’Occidente statunitense ed
europeo continuano a cercare punti d’appoggio nei Paesi arabi amici
(petromonarchie e l’Egitto supervisionato dai generali) fino a ipotizzare
alleanze tattiche coi nemici di ieri: Asad e gli ayatollah.
In più si rafforza, rispetto a un passato anche
recente, l’allerta delle Intelligence sulle figure del jihadismo formatosi al
Cairo e dintorni, attive su uno scacchiere ampio coi missionari della guerra
santa (come quell’ Ahmed El-Hissiny Helmy, attivo anche in Italia) e capaci di
tenere in scacco pure l’esercito patrio nell’area del Sinai.
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