Fra le 274 vittime accertate della miniera di
Soma nella provincia di Manisa, col rischio che il doloroso conteggio salga
ancora per il centinaio e passa di uomini tuttora intrappolati, c’è anche il mistero d’un morto minorenne. E’ - anzi purtroppo era - Kemal Yıldız di quindici anni. Suo zio portato
davanti ai microfoni televisivi nella penombra della sera ha laconicamente
detto di non aver nulla da dichiarare. Un gesto di riserbo che cela anche una
triste verità: la necessità familiare di ricorrere al lavoro d’un ragazzo. Più
imbarazzato il responsabile del dicastero
dell’Energia, che per i giochi del destino porta lo stesso cognome. Taner
Yıldız, il ministro, s’è affrettato a definire “impossibile” la presenza in
miniera d’un minorenne e il leader del sindacato minatori gli ha fatto eco
sostenendo che loro non hanno un iscritto con questo nome. Cauto il ministro
del Lavoro Çelik che insinua il beneficio del dubbio, cosciente comunque che in
caso di conferma dell’età anagrafica le già ampie polemiche si allargheranno. La
magistratura ha avviato l’inchiesta per stabilire le responsabilità del
disastro ormai di proporzioni gigantesche.
Al lutto nazionale di tre giorni annunciato
da Erdoğan s’accompagnano proteste già esplose in alcune piazze, spontaneamente
o dirette dall’Unione dei lavoratori delle miniere che aderisce all’Unione
rivoluzionaria dei lavoratori, mentre il partito filo kurdo Bdp propone una
settimana di sciopero. La coda di dissapori tocca immediatamente la questione
della sicurezza d’un settore ad alto rischio e sul tema il premier ha giocato
d’anticipo. Nel discorso seguìto alla visita sul luogo del disastro Erdoğan ha
sfogliato il libro del lutto di altre nazioni. Ricordando ciò che accadeva
nell’Inghilterra di Cronin: 204 vittime nel 1838, 361 nel 1866, 290 nel 1894. E
poi negli Stati Uniti nel 1907 e i 1.549 cinesi nel 1942. Anni comunque
lontani, e in una tipologia di lavoro che resta infame le aziende dovrebbero
introdurre maggiori sicurezze. Ma questo non sembra il pedigrée della Soma Coal
Mining Company, per la quale i minatori lavoravano, e sulle cui misure
preventive di controllo indaga la procura. Mentre la rappresentanza governativa
s’aggirava per Soma il dolore e la rabbia della gente erano profondi e
altissimi e il corteo istituzionale è stato investito da fischi e improperi.
Polizia e guardie del corpo hanno
faticato a tenere sotto controllo la situazione sino alla fine della visita. Il
settore minerario turco era stato già toccato da gravissime disgrazie, la maggiore
nel 1992 aveva tolto la vita a 263 lavoratori e le statistiche sommano oltre
tremila minatori che hanno avuto la vita spazzata via da grisu, crolli e
incendi. Cose di cui Kemal probabilmente neppure sapeva, contento di guadagnare
un po’ di lire per sé e da portare a casa risollevando le sorti di chi viaggia
sul treno della modernizzazione nella veste più sfrenata che il liberismo
economico concede. Una prassi sposata dal partito di governo che tanti consensi
trova anche nei ceti popolari. Milioni di cittadini coinvolti nel miraggio
della crescita personale, familiare, e quella nazionale d’una Turchia che sogna
in grande con un nuovo tipo di nazionalismo stavolta islamico. Ma il modello,
tuttora funzionante alle urne, riscontra continui intoppi nella vita d’ogni
giorno. Lo scontento cresce, e i giovani che amano il lavoro, pure quello duro
e manuale non vogliono finire come Kemal. E’ questo il campanello d’allarme per
il sultano.
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