I salvati
dalle viscere più buie di pece e fuoco, chi può respirare ma egualmente piange
perché non si dà pace per i compagni sepolti in quel posto di lavoro che toglie
la vita, in genere tacciono. Troppo tristi, troppo infuocato è l’animo nonostante
i corpi sembrino robusti e ancora resistenti
allo scavo della silicosi. Però gli estrattori scampati dal turno
maledetto non trattengono la rabbia e quel che covano da anni. Urlano,
insultano i padroni della compagnìa del carbone che mascherava ispezioni e
controlli. Inveiscono contro il partito del premier che gli concedeva quel
lavoro. Rivelano che da Ankara burocrati compiacenti telefonavano all’azienda
per annunciare le verifiche di sicurezza e solo in quella settimana certi
protocolli venivano rispettati. Usciti gli ispettori nella Coal Mining Company
di Soma tutto tornava come prima. Come alla Thyssenkrupp e all’Ilva dei Riva,
come nelle statal-private aziende dei magnati cinesi, nelle fabbriche che
restano in Occidente e in quelle che abbondano a Oriente. Ovunque il lodato
liberismo magnifichi il suo sistema, distribuendo salari di fame e assicurando
prematura morte. Si dice che l’azienda turca dell’area di Manisa avesse ridotto
le spese estrattive per tonnellate di carbone da 140 a 30 dollari. Un risparmio
notevolissimo evidentemente giocato sulla sicurezza e sulla pelle di chi
sputava sangue nelle gallerie.
E’ il
liberismo che ha donato per oltre un quindicennio un Pil turbo alla crescita turca.
L’elargitore di scalate sociali che migliora la vita di ciascuno purché si
trasformi in consensuale macinatore di consumi capaci d’arricchire l’esistenza
di pochi. Meccanismo noto da due secoli, ma sempre reiterato e proposto da chi
azzera tutele per incrementare profitti. Nel caso anatolico sposati col disegno
di Erdoğan, creatore e difensore ormai d’un regime. Personalistico. Che
s’avvale di bugie diffuse dalla tivù di Stato o da agenzie ufficiali come l’Anadolu, ieri intenta a citare le misure
di sicurezza “rispettate” dalla compagnìa mineraria. Invece neppure un mese fa quell’azienda
era al centro di un’interrogazione parlamentare dell’opposizione per verificare
l’effettiva regolarità e i parametri ambientali. Un analista turco offre questo
scorcio di quel dibattito: mentre il deputato interrogante si rivolgeva ad alcuni
ministri dell’attuale governo costoro facevano capannello - colloquiando
probabilmente d’altro - e qualcuno sorrideva. Anche questa è un’immagine
globale, che si può notare in altre arroganti incarnazioni d’un ruolo che
dovrebbe porsi al servizio della comunità e invece si serve di essa per i
propri affari. Ma nel reiterare bugie, imbrogli, calunnie, diffamazioni il
premier che vuole diventare presidente d’una propria Turchia, sembra non
accorgersi delle crepe della sua creatura.
La logica
del consenso,
elettoralmente tuttora elevato, può venir meno se il giocattolo della
magnificenza nazionale interclassista che deve accontentare tutti s’inceppa.
L’esempio dei capitalisti investitori nei settori più vari che devono addolcire
il sistema erdoğaniano con contropartite in tangenti, offrendo in dono
sacrificale propri media e giornali al grande accentratore (è accaduto a Kanaltürk, Bugün Tv, Habertürk e altri) comincia a star stretto anche ai fruitori del
businness. Se i manager dell’azienda di Soma si troveranno soli sui banchi
degli imputati inizieranno a cantare tirandosi dietro il manipolo dei ministri
ridanciani e assistenti picchiatori come Yusuf Yerkel. Un’ipotesi politicamente
suicida per il governo sarebbe affossare inchieste e responsabilità. In quel
caso l’ira che già circola fra la gente, mica solo i familiari delle vittime,
monterebbe ancora. Già tanti attendono che l’anniversario di Gezi Park sollevi
proteste ancora più tracimanti, perché nei dodici mesi trascorsi di cose ne sono
accadute parecchie. Ma la breccia maggiore che deve preoccupare il sultano sono
le riflessioni e ammissioni dei minatori stessi, che scoprono un’ovvietà
peraltro diffusa: il voto di scambio. Lavoro in cambio d’una croce sulla scheda
che gli uomini dell’Akp ricercavano anche sulle colline non distanti neppure 40
km dalla magnifica e storica Pergamo. Se quest’accordo, che dura da un decennio
e ha portato il partito della Giustizia e Sviluppo a una maggioranza quasi
assoluta, vede smarriti i due virtuosi riferimenti della denominazione i
minatori, i loro padroni e le mille categorie arcaiche o ipertecnologiche del
blocco sociale erdoğaniano abbandoneranno il presuntuoso leader al suo destino.
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